Libri, canzoni, opere teatrali che narrano le vicende e le impressioni degli emarginati, posseggono una forza evocativa che ha il potere di magnetizzare. Che si tratti di quelle cantate da Fabrizio De André o narrate da Charles Bukowski, giusto per citare due autori a caso, le "storie al limite" conservano un fascino maledetto che penetra l'animo umano, capace di infrangere la stabilità interiore delle donne e degli uomini organizzati, forse standardizzati, quando non del tutto omologati. Costoro colgono qualcosa, di questa società fragile e apparentemente lontana raccontata da altri, che va a stimolare parti di loro del tutto nascoste. Quindi si capisce in toto, Silvio Orlando, quando, nel portare a teatro "La vita davanti a sé", romanzo di Romain Gary, afferma convinto: "Qui ci sono alcune parti di me". Protagonista dell'opera è un bambino arabo di appena 10 anni, di religione musulmana, orfano di madre, morta prematuramente e violentemente, che racconta della sua infanzia nel quartiere parigino di Belleville, durante gli anni '70, in una pensione gestita da una ex prostituta ebrea che campa prendendosi cura dei figli delle colleghe più giovani. "In quella donna, Momò ha individuato il suo baricentro affettivo", spiega l'attore, "una madre a termine da condividere insieme a tanti altri figli nelle sue stesse condizioni. Un affetto affollato, a rischio: nel corpo di quella donna che sta per morire c’è tutta l’ansia di un bimbo che deve affrontare la vita da solo a mani vuote, senza armi né amore". Fin qui, l'ordinario: le vicende di un escluso affidato ad una esclusa assieme ad altri esclusi, incarnano un leitmotiv purtroppo ricorrente, che sfugge peraltro a logiche di luogo e di tempo, perché comune a tutte le epoche ed in tutto il mondo. Lo straordinario, invece, si coglie nel corso dell'opera, e per due volte. Innanzitutto, fin dalle prime battute, si percepisce la capacità dell'attore di esprimere la sensibilità di un protagonista senza età: ora è un adolescente che pare evocare ricordi recentissimi che possono ancora stupire, ferire, rallegrare; ora è un adulto che ripensa alla sua infanzia di tanti anni prima e ne coglie gli aspetti dolci e malinconici. Orlando manifesta meravigliosamente questo dualismo espressivo, inducendo peraltro il pubblico ad interrogarsi più di una volta su chi effettivamente stia parlando: è l'adolescente o l'adulto? Egli palesa il senso di un'oscillazione tra due dimensioni, quella suggestiva e pittoresca di un bimbo di quartiere, vissuto in una collettività multietnica, e quella onirica tipica dell'uomo maturo preso da ricordi lontani, forse conditi con elementi di fantasia, se non ammantati di connotazioni quasi leggendarie. E poi, c'è il messaggio finale - "bisogna voler bene" - che chiude il monologo per bocca dello stesso protagonista: impreziosita da quest'ultima limpidezza comunicativa, la ratio della rappresentazione risulta chiara in tutta la sua interezza, valorizzata da una morale riassuntiva che ha pregio di avvolgere totalmente ciascun astante, chiarendo ogni aspetto afferente alla vita di questo bimbo/uomo. Quanto sopra è sublimato da musiche dal sapore orientale suonate dall'Ensemble dell’Orchestra Terra Madre, organico multietnico a dir poco coeso, al quale, peraltro, lo stesso attore si unisce nel corso di un corollario finale suonando magnificamente il flauto traverso. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 18 ottobre 2022. |
LA VITA DAVANTI A SÉ riduzione e regia di SILVIO ORLANDO con Silvio Orlando scene Roberto Crea Tratto dal romanzo La Vie Devant soi di Romain Gary
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