Opera che fu sfortunata agli esordi quanto ad accoglienza di pubblico, torna allo Strehler “La grande magia”, dopo che proprio da Strehler, una quarantina di anni fa, fu riscoperta e rilanciata in tutta la sua semplice complessità.
Semplice e lineare perché racconta il sottile confine tra la realtà per come è e quello che ne è la sua percezione. Complessa perché racconta le contorsioni di una mente che vuole mantenere il proprio mondo a discapito di ciò che gli accade attorno e di come l’illusione possa essere un’arma potente per trovare il proprio ruolo e motivo per esistere.Il meccanismo scenico si basa sulla relazione tra Otto Marvuglia, uno dei tanti ciarlatani che sopravvivono a stento sfruttando l’ingenuità delle persone proponendosi come operatore dell’occulto e come illusionista-mago, e Calogero Di Spelta, il borghese sicuro di sé ma inconsapevole dell’inconsistenza delle sue certezze, soprattutto relativamente a rapporto con la moglie che, approfittando di un “esperimento” di Marvuglia che la fa scompare durante uno spettacolo, fugge con il proprio amante abbandonando il marito. Da questo spunto nasce la strana relazione tra Otto e Calogero, nasce l’illusione – il “gioco” come viene spesso chiamato – che porta il marito abbandonato a negare l’abbandono nella propria mente facendosi convincere dal mago che il tutto sia solo frutto delle sue suggestioni e che in un attimo tutto sarebbe ritornato come prima, come il risveglio da un sogno. La tangenza con le tematiche pirandelliane è evidente soprattutto nel rifiuto della realtà e nel volontario ritorno e rifugio alla finzione alienata, come nell’Enrico IV e nel Berretto a sonagli, anche se l’intricato miscuglio di sentimenti contrastanti di Marvuglia e l’ingenuità della “pazzia” estraniante di Di Spelta siano saldamente legati al realismo (napoletano) di De Filippo e le loro maschere farsesche siano assolutamente vicine alle tragicomiche figure intrise di dolorosa vitalità delle sue commedie. Convincente anche la messa in scena del regista Gabriele Russo, scarna nella scenografia ma ricca dal punto di vista simbolico: un telo semitrasparente per dividere i luoghi ed i tempi, un “WunderWarenkorb“ con mille oggetti indispensabili per la creazione delle magie ed illusioni, uno sfondo immaginario dove il pubblico partecipa al gioco diventando paesaggio, diventando mare, per arrivare ad una scarna scena finale vuota, dove il protagonista vaga inseguendo le proprie illusioni rimbalzando da una parete all’altra. Infine, il terzo protagonista: una scatola vuota che diventa l’oggetto centrale della burla. Marvuglia convince Di Spelta che la moglie non è scomparsa ma è nella scatola: solo aprendola con vera fede, però, avrebbe potuto ritrovarvela. Così Di Spelta deve affrontare un paradosso uguale a quello del gatto di Schrödinger: non può sapere se la moglie c’è realmente o non c’è se non aprendo la magica scatola e solo aprendola con vera fede il marito determinerà la scomparsa definitiva o l’amoroso ritorno della moglie. L’incertezza e l’illusione sono tali che Di Spelta preferisce tenerla chiusa tra le sue braccia per anni aspettando e sperando che il “gioco” finisca. E quando poi ciò accade e la normalità vuole ritornare, l’impossibilità di riconoscerla ed accettarla per quello che è e l’opportunità di lasciarla chiusa e non guardarci dentro permette di reiterare il gioco all’infinito, nella convinzione che sia meglio vivere nell’illusione desiderata che in una realtà avversa. Bravi gli attori Natalino Balasso nel ruolo di un fin troppo trattenuto Di Spelta e Michele di Mauro che ha reso un patetico, odioso e allo stesso tempo caritatevole Marvuglia. Ma bravi anche tutti gli altri attori, dal macchiettistico agente interpretato da Gennaro Di Biase a Sabrina Scucimarra nel ruolo di una piacente Zara, moglie-complice di Marvuglia. Un meccanismo che funziona alla perfezione per un bello spettacolo che ha avuto una meritata accoglienza favorevole dal pubblico di Milano. Questa recensione di riferisce alla rappresentazione dell' 5 novembre 2024. |
LA GRANDE MAGIA regia: Gabriele Russo scene Roberto Crea luci Pasquale Mari
Quando andò in scena per la prima volta nel 1948, La grande magia non fu capita e suscitò reazioni controverse. «Ci fu quella resistenza – racconta Gabriele Russo – che sempre riscontra un grande artista quando prova a esplorare nuovi orizzonti. L’incomprensione del pubblico di allora rivela quanto questo testo sia intriso di profondità e capacità di raccontare, oggi, le nostre emozioni e incertezze». (fonte comunicato stampa) via Rivoli, 6 – M2 Lanza Orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30 (salvo mercoledì 20 marzo, ore 15 per le scuole); domenica, ore 16. Lunedì riposo. Durata: 110' senza intervallo Informazioni e prenotazioni 02.21126116 www.piccoloteatro.org |