
Dire Giorgio Gaber, vuol dire tante cose: ricorda Adriano Celentano, nei cui Rock Boys egli entrò nel 1957; allude a Luigi Tenco ed Enzo Iannacci con i quali fondò poco dopo I Rocky Mountains Old Times Stompers assieme a Paolo Tomelleri al sax e a Gian Franco Reverberi alla chitarra (con Iannacci darà vita anche al duo I Due Corsari); è anche espressione di cantautorato, con brani come, tra gli altri, "Porta Romana", "Come Ti Amavo Ieri", "Pieni Di Sonno", "Amore Difficile Amore", "Dopo La Prima Sera", "Benzina e cerini", "Così felice", "Mai, mai, mai" (alcuni di questi appariranno poi nel noto album "Mina & Gaber – Un'Ora Con Loro" pubblicato nel 1965 dalla nostrana Rifi); da ultimo, dire Gaber vuol dire teatro/canzone.
«Ho scoperto», ebbe modo di dichiarare egli nel 1997, «che il teatro mi era più congeniale, mi divertiva di più, mi permetteva un'espressione diretta, senza la mediazione del disco o di una telecamera frapposta tra l'artista e il suo pubblico. Le entrate erano sicuramente minori rispetto ai proventi derivanti dalla vendita dei dischi, ma guadagnavo abbastanza da non dover soffrire la scelta di campo» (C. Pino, «Da Goganga al Dio Bambino», in Amico Treno, Baldini & Castoldi, 1997). Ci manca tanto, Giorgio Gaber, con la sua arte unica, così immancabilmente permeata delle sue doti caratteriali che ne fanno un unicum espressivo nel panorama nazionale: la sua pungente ironia, il suo inalterato disincanto, la sua lucida coerenza, la direzione ostinatamente contraria, sono elementi indissolubili del suo talento quanto la sua capacità di suonare la chitarra e di comporre testi e musiche (i primi in coppia con Sandro Leporini). Ferisce pensare ai tanti progetti che la sua malattia ha reso irrealizzati. Non possiamo sapere, neanche immaginare, come si sarebbe posto, con il suo umorismo graffiante, nei confronti dei tanti eventi occorsi dopo la sua morte. Ma il suo lascito resta inalterato, ancora attuale, ancora potentissimo: e quindi, omaggiarlo oggi appare come un dovere al quale non possiamo sottrarci. Ora, ricordare la sua fase cantautorale, a parere di chi scrive, equivarrebbe a porsi in termini di mera cover band, cosa di cui, francamente, non abbiamo bisogno alcuno. Rievocarne la formula teatro/canzone, invece, è altra cosa, come ha dimostrato il regista Marco Belocchi (già da noi ampiamente apprezzato quale direttore di scena dell'opera teatrale "Taglio la corda" e, in qualità di attore/regista, ne "I Lunatici" e "Cocktail x 3"), capace di sublimare questo importante lascito artistico con una rilettura intelligente e puntuale che ha visto sul palco alternarsi una cantante (Maria Teresa Pintus) e un attore (Marco Zangardi), pur permettendo ad entrambi lievi incursioni nelle competenze altrui. "La nostra scelta", riferisce egli nel comunicato stampa, "ha voluto privilegiare il Gaber forse meno noto" recuperando quello "più intimo, più sensibile, vorremmo dire più femminile. Perché in fondo Gaber aveva due anime, sapeva miscelare perfettamente quella maschile, più sarcastica e politica, a quella femminile, scura e malinconica, a tratti dolce e sensuale. Anche per questo abbiamo scelto due interpreti che potessero sdoppiare queste due anime (.) proprio per restituire le due facce in lui così mirabilmente indissolubili". Una scelta condivisibile, quella appena descritta, che giustifica pienamente l'omissione di alcuni brani a vocazione squisitamente politica, tra i quali "Destra-Sinistra", "Qualcuno era comunista", "La razza in estinzione" (brano, il terzo, che contiene il famoso brocardo "La mia generazione ha perso", che fornisce il titolo al suo album del 2001), ai quali sono stati preferiti pezzi più intimi e introspettivi come "I mostri che abbiamo dentro", "Quando sarò capace di amare", "La libertà", "I soli".
"Operare delle scelte, anche dolorose" (è ancora il regista a parlare) sacrificando "brani che sono nella memoria collettiva, per non rischiare di fare una greatest hits che alla fine rimane in superficie" risponde all'esigenza di "privilegiare il Gaber forse meno noto, tralasciando la politica in senso stretto, attenendoci semmai a qualche apertura sociale/comportamentale, e recuperando invece il Gaber più intimo, più sensibile, vorremmo dire più femminile". A livello esecutivo, colpisce la capacità manifestata dalla band di supporto, capace di offrire un campionario di suoni estesissimo, pur in totale assenza di tastiera, strumento invece presenti nei concerti di Gaber. Al riguardo, non ce ne vogliamo gli altri due, preme sottolineare l'immenso lavoro posto in essere da Valerio Cosmai, capace di offrire una ritmica assai estesa, ottenuta stratificando il lavoro alla batteria con reiterate soluzioni alle percussioni: un compito, quello appena descritto, normalmente devoluto a due distinte figure. Apprezzata anche la scenografia, tutta giocata sul contrasto tra chiaro/scuro, che è un po' come sottolineare questa duplice anima sopra menzionata, l'approccio bicefalo manifestato dall'artista, diviso tra canto e recitazione, in bilico tra pungente capacità di osservazione e atipica vocazione romantica. In conclusione, la formula che vede alternarsi due interpreti sul palco appare vincente. Non importa se Maria Teresa Pintus canta testi declinando al maschile, giacché le sue doti non perseguono lo scopo dell'immedesimazione, quanto quello di sublimare il talento del milanese in termini di valore assoluto. L'espressività di Marco Zangardi, invece, non può prescindere dall'emulazione, in quanto il Gaber monologhista, pur difficilmente imitabile, deve essere proposto fedelmente, non soggetto ad interpretazione: in tal senso, l'attore è apparso pienamente credibile ed attendibile. La piena consapevolezza delle difficoltà sottese all'incarico a lui affidato, gli fa perdonare alcune incertezze palesate nel monologo "L’America" e nell'esecuzione canora del brano "La libertà", uniche due imperfezioni dell'intera serata. Il sold out riscontrato nel corso della rappresentazione qui recensita ha decretato il successo della stessa, della quale si auspicano numerose repliche nel tratto a venire.
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ACCADEMIA FILARMONICA ROMANA Rassegna “I SOLISTI DEL TEATRO” XXIX edizione
Associazione Culturale Genta Rosselli presenta IO MI CHIAMO G Testi e canzoni di Giorgio Gaber e Sandro Leporini
Interpreti Marco Zangardi Maria Teresa Pintus
Musicisti Andrea Moriconi: chitarra Fabio Landi: basso Valerio Cosmai: batteria
Regia: Marco Belocchi Adattamento: Marco Zangardi e Marco Belocchi Direzione musicale e arrangiamenti: Andrea Moriconi Costumi e grafica: Maria Letizia Avato Luci & Fonica: Mauro Boninfante Aiuto regia: Valentina Maselli Produzione: A.C. Genta Rosselli

tracklist (in minuscolo i monologhi/dialoghi, in maiuscolo i brani)
I Tempo Io mi chiamo G (dialogo) COM’È BELLA LA CITTÀ La paura I MOSTRI CHE ABBIAMO DENTRO Gli omini / La presa del potere IL CONFORMISTA L’intossicato MI FA MALE IL MONDO Il successo IL GRIDO La sedia da spostare (dialogo) RAGIONA AMICO MIO Lo specchio LO SHAMPOO
II Tempo TORPEDO BLU Piccoli spostamenti del cuore LA LEGGEREZZA La cosa QUANDO SARÒ CAPACE D’AMARE Il narciso I SOLI Prima dell'amore PAROLE PAROLE Dopo l'amore L’ILLOGICA ALLEGRIA L’America LA LIBERTÀ E ALLORA DAI!
 foto di Anna Bruna Spada
Accademia Filarmonica Romana Via Flaminia, 118 Roma 00196 e-mail:
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tel.: 3807862654 www.isolistidelteatro.it
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