"Esiste la commedia perfetta?", riportano le note di regia divulgate dal regista Geppy Gleijeses, "Forse sì. Secondo alcuni critici è “Il matrimonio di Figaro” di Beaumarchais, secondo altri è “L’importanza di chiamarsi Ernesto” di Oscar Wilde. Sul più bel dramma giudiziario però non ci sono dubbi: “Testimone d’accusa” di Agatha Christie. Il gioco non verte tanto sulla psicologia dei personaggi (.) quanto sulla perfezione del meccanismo. È infernale questo meccanismo, con un colpo di scena dopo l’altro, in un crescendo raveliano, una battuta dopo l’altra. E la costruzione “giudiziaria”? Impressionante per precisione e verità, come se l’avesse scritta il più grande giudice inglese del secolo scorso" (.) Il testo teatrale è assai più asciutto, non concede tregua alla tensione, affonda come una lama di coltello affilatissima (letteralmente) nella schiena di chi osserva". Chi scrive concorda senza riserva alcuna, aggiungendo, peraltro, che l'opera raggiunse la perfezione in occasione del suo adattamento teatrale, effettuato nel 1953 sempre a firma della scrittrice e drammaturga inglese, con l'inserimento del personaggio di Sir Wilfrid Robarts, consigliere per la difesa. Tuttavia, la versione teatrale qui recensita offre il fianco ad alcune osservazioni, parzialmente smentendo quanto soggiunto dal regista in ordine a tregua e a tensione. Va innanzitutto detto che il ritmo è troppo lento e costituisce maggiore aggravante lo sviluppo dell'opera senza alcuna soluzione di continuità tra primo e secondo tempo. Duole peraltro rimarcare che la dizione di Giulio Corso è fallace (troppo evidenti le sue origini siciliane), mentre Erika Puddu palesa un fastidioso sigmatismo (non si è capito se voluto o innato). Gleijeses offre un'interpretazione notevole, offrendo un perfetto bilanciamento tra autocontrollo, equilibrio ed imperturbabilità, genuina testimonianza della sua blasonata esperienza attoriale (ad egli va inoltre riconosciuto il merito di aver sostituito in extremis Giorgio Ferrara, a cui il ruolo era stato inzialmente affidato, impossibilitato a causa di problemi di salute), ma il suo tono di voce è troppo basso rispetto a quello degli altri: già messo alla prova dalla lentezza poco sopra citata, una parte del pubblico si irrita, l'altra si estranea totalmente. L'interpretazione piuttosto magistrale di Bruno Crucitti e Vanessa Gravina, entrambi impegnati in un duplice ruolo, una scenografia meravigliosa, in bilico tra imponenza ed austerità, e la presenza in scena di uno stenografo in grado di trascrivere realmente il verbale del processo su una macchina stenografica autentica del 1948, non bastano a salvare una rappresentazione da un giudizio, se non completamente negativo, quantomeno connotato di pesanti riserve. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 17 gennaio 2023. |
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