Scritto da Fabio Busi Mercoledì 26 Settembre 2012 20:39 Letto : 3572 volte
PBX è veramente un disco immenso; dura poco, 36 minuti e 58 secondi, ma sembra senza fine, contiene una stratificazione sonora davvero invidiabile, nonchè una strutturazione compositiva complessissima e quasi labirintica. In ogni istante si possono sentire diverse linee sonore che si intrecciano violentemente, sovrastate spesso da ritmiche convulse e ficcanti, vero epicentro di molti pezzi. Su questo caos paradisiaco si staglia il canto ieratico di John Frusciante, mai come oggi capace di infinite sfumature, che spesso si polarizzano su tonalità aspre, grondanti bile nera ("Uprane"), ma sa resserenarsi immediatamente in dolci dediche amorose ("Sum"). Nove brani che sembrano infiniti, sia per quantita di spunti creativi, sia per la qualità squisita della scrittura: siamo di fronte ad una prova magistrale, veramente eccelsa. Le componenti cantautorali si mescolano ad un appeal melodico che si avvicina ai momenti più ispirati della carriera frusciantesca, mantenendo però uno status artistico diverso, fratturato dalle continue eruzioni sonore. Il canto, primigeniamente melodico, è quindi filtrato da un contesto criptico che ne controbilancia perfettamente le tendenze, dando come risultato un ibrido stridente in cui le aperture melodiche cristalline fioriscono e implodono continuamente sotto il peso di pachidermi musicali che fagocitano tutto. Deflagrazioni anarchiche e riflussi mistici si alternano con raro equilibrio e lasciano un senso di ineffabilità: alla fine dell'ascolto è difficile esprimere quale sia il mood dominante. Non c'è una chiave di volta unica, come accadeva per esempio nei dischi del 2004, perchè questo è un lavoro che vuole essere onnicomprensivo e totalizzante, uno sguardo a 360 gradi su un periodo della vita di un uomo; non può prendere un'unica direzione, ma semmai rappresentare la problematicità disorientante della vita, le contraddizioni che alla fine ci restituiscono la nostra persona nella sua organicità, irriducibile ad un tratto solo. La cifra stilistica di stampo progressive è largamente dominante, se si considera che non esistono canzoni piane e semplici, fatta eccezione per "Intro/Sabam" che comunque così piana non è (ricorda "Glowe" ma è meno intensa). La stragrande maggioranza delle composizioni si articola su interpolazioni altamente frastagliate, cambi di ritmo innumerevoli, impossibili da contare, contrappuntati da melodie frammentate in mille rivoli diversi; ci si perde nel tentativo di tenere sotto controllo il dipanarsi inarrestabile della materia sonora. La complessità è tale che risulta difficile individuare dei motivi che tornino ciclicamente; i pezzi seguono (quasi sempre) un andamento di costante evoluzione, che non prevede il ritorno su temi già proposti. Questo fa di PBX Funicular Intaglio Zone un album di difficile fruizione, soprattutto per chi è abituato ai parametri fruitivi del mainstream, che lo stesso Frusciante ha per lungo tempo seguito. Tuttavia, una volta assimilato, questo tipo di scrittura è largamente la più appagante. Bastano un paio di brani per spiegare la statura artistica del disco. "Bike" si struttura intorno ad una drum machine anarchica, claudicante, e costruisce un castello di umori alterni, che passano da vocalizzi pacati a forsennate fughe electro-core, per poi ripiegare e ripartire di nuovo; un patchwork vertiginoso di umori e sensazioni. "Mistakes" propone una melodia pulita, molto frusciantesca, che si trasforma in sanguigna e tagliente, per poi tornare dolce; l'alternanza si ripete ciclicamente per tutta la durata, mentre il paesaggio sonoro muta turbinosamente, tempestando la psiche con continui spunti. Altra diavoleria straripante è "Guitar", uno strumentale sbalorditivo che marchia a fuoco le nostre percezioni con una tempesta ritmica e un assolo che si inerpica selvaggio sui crepacci taglienti dell'espressività pura e violenta. In un certo senso simile è "Sam": la prima metà è caratterizzata da giochi ritmici sovrapposti a ombreggiature elettroniche: la seconda esplode in un'eruzione metallica, sputata fuori rabbiosamente; una catarsi grondante sangue. Sul versante opposto si pone innanzitutto "Sum": epilogo toccante che si muove in atmosfere soffuse, senza tempo. I ritmi rallentano, pur non rinunciando alla solita dose di creatività, e accompagnano la melodia fatata sino alla chiusura. Anche "Ratiug" propone sonorità morbide, il canto è in falsetto e ricorda le atmosfere del Frusciante che fu. In effetti è il pezzo più tradizionale del disco, ma resta di una bellezza abbagliante, sacra. A fine ascolto si ha la sensazione che il buon John Frusciante abbia riversato in queste tracce tutta la sua arte, la sua personalità e la sua vita. Un disco da esplorare inesauribilmente, da sondare nel profondo per sviscerarne tutte le magnifiche sottotrame, tutto gli arzigogoli scintillanti. A parere di chi scrive è l'opera totale e migliore del chitarrista, nella quale si può trovare tutta la sua qualità più pregiata, e per giunta arricchita dal nuovo interesse per i suoni sintetici che, va detto, si adattano perfettamente ai suoi umori frenetici e smaniosi. L'anarchia degli esordi è stata riesumata in una forma studiata nel minimo dettaglio; si ritorna alla violenza delle emozioni, ma attraverso il massimo dell'elaborazione stilistica, in antitesi con l'istintività selvatica di Niandra LaDes, del quale PBX incarna una sorta di gemello separato alla nascita. Nove canzoni che palpitano, vibrano di rabbia nera e si sciolgono in dolcezze disarmanti. Tutto l'universo frusciantesco racchiuso in 37 minuti. Correte a comprarlo. 85/100
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John Frusciante: Voce, chitarra, cori, sintetizzatore, samples e drum machine Guests: Anno: 2012
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