Scritto da Mariarosa Gallo Mercoledì 05 Marzo 2025 10:12 Letto : 1638 volte
In questa produzione, in scena al Piccolo Teatro Strehler, viene scelta come inedita ambientazione, una palestra scolastica, che diviene spazio - prove e crocevia esistenziale, in cui realtà e finzione si mescideranno inesorabilmente. Detta scelta come luogo d'azione è essa stessa dichiarazione di poetica: lo spazio dell'apprendimento, del gioco e della disciplina si tramuta in un'arena dove il teatro si interroga sulla propria essenza. Gli attori, allievi di una scuola teatrale, amplificano con un approccio accademico da neofiti, il senso di costrutto e di improvvisazione che già pervade l'essenza del testo. Il loro impegno nel gioco delle parti viene bruscamente interrotto dall'irruzione dei Sei personaggi, esseri enigmatici, a tratti inquietanti, il cui aspetto tetro e gli inusuali contenuti che emergeranno, li rendono redivive maschere tragiche fuori dal tempo. La regia si distingue per un approccio che esalta l'ascolto e la relazione tra attori e personaggi. Lungi dal sovraccaricare l'opera di intellettualismi, la direzione pone l'accento sulla sofferenza intima dei Sei, valorizzando la dimensione umana e drammatica della loro condizione. I protagonisti del dramma incompiuto non sono più solo ectoplasmi in cerca di vita scenica ma individui che reclamano accoglienza, attenzione, comprensione. Binasco decide di vestire anche i panni del Padre, figura ambigua e tormentata, simbolo evidente del senso di colpa e del macerante rimorso, la cui interpretazione è davvero intensa e vibrante. Accanto a lui, spiccano le prove attoriali di Sara Bertelà, nella parte della Madre, che incarna la sofferenza, di Giordana Faggiano, la Figliastra, eccellente nel rappresentare la rabbia e la volontà di rivalsa, di Jurij Ferrini, il Capocomico, nel ruolo di moderatore e di Giovanni Drago, il Figlio, emblema dell'incomunicabilità, capaci all'unisono di restituire con grande sensibilità il dramma dell'incompiutezza esistenziale. Ciò che emerge inconfutabilmente da questa rilettura è la straordinaria modernità del testo del maestro indiscusso della letteratura mondiale, Nobel per la Letteratura nel 1934 per l'audacia e l'ingegno nel rinnovamento dell'arte drammatica e scenica. Il cortocircuito tra realtà e finzione non è solo un loop meta-teatrale ma si fa riflessione sulla condizione umana stessa: chi siamo? Quanto della nostra esistenza è costruito e quanto autentico? La rilevante cifra registica riesce a rendere tangibili queste domande, restituendo al pubblico una pièce densa, evocativa e profondamente emozionante. Un teatro che ascolta, accoglie e interroga, proprio come i suoi protagonisti in cerca piuttosto di un pubblico capace di riconoscerne il dolore. La presente recensione si riferisce allo spettacolo del 4 marzo 2025 |
da Luigi Pirandello
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