Scritto da Leonardo Furlan Domenica 13 Aprile 2025 09:37 Letto : 204 volte
La nuova produzione, affidata al decano Pier Luigi Pizzi per quel che riguarda regia, scene e costumi, con Renato Balsadonna alla direzione dell'orchestra e del coro, ha trovato un’accoglienza entusiasta da parte del pubblico veneziano, nonostante la notevole durata dello spettacolo, di poco inferiore alle quattro ore, ed è stata anche l’occasione per il debutto del nuovo sovrintendente della Fenice, Nicola Colabianchi. La tragedia lirica “Anna Bolena” segna un punto di svolta nella produzione di Gaetano Donizetti, e può essere considerata uno degli apici dell’epoca romantica: il suo schema narrativo tutto sommato semplice (un re è stanco della sua regina, intriga per liberarsene e sostituirla con un’altra donna, ci riesce) è segnato, lungo il suo svolgimento in due atti, dall’emergere di alcuni tra gli universali semantici della drammaturgia, che coagulano in particolare attorno ai potenti e commoventi duetti dell’opera. Innanzitutto riconosciamo il segreto e il suo nascondimento (cioè, in termini semiologici, ciò che è ma non sembra): Anna Bolena-Lidia Fridman crede di confidare un grave segreto (“Legger potessi in me”) alla sua dama ed amica Giovanna Seymour-Carmela Remigio, e cioè la propria infelicità nel sentirsi non più amata dal re. Ma il vero segreto qui è che proprio Giovanna è la nuova fiamma del re, ed ella non sa come rivelare alla propria regina la tremenda verità: “Alzar gli occhi in lei non oso. Non ardisco favellar”. Vengono quindi Passione e tradimento, manifestandosi su sfondo porpora e grigio scuro (secondo la suggestiva visione di Pizzi) nel duetto tra il sovrano Enrico VIII (Alex Esposito) e l’amante Giovanna Seymour: Giovanna, sinceramente innamorata di quell’uomo potente, desidera “Amore, e fama!”, cui Enrico replica appassionato: “Fama! Sì: l’avrete, e tale che nel mondo egual non fia: tutta in voi la luce mia, solo in voi si spanderà”). Ma al contempo Giovanna si ricorda che amare Enrico significa tradire Anna, e si fa strada in lei l’oscura consapevolezza che aver conquistato il cuore del sovrano costerà caro all’amica: “Non mi costi un regio sposo più rimorsi, per pietà!”. A questo sensualissimo (e applauditissimo) duetto si contrappone quindi, anche cromaticamente (gli attori si muovono ora su una scena dominata dal blu profondo in luogo della porpora) quello tra Riccardo Percy-Enea Scala (primo amore della Bolena) e Anna stessa: qui l’universale semantico è quello dell’amore sacrificato, costretto com’è tra l’aspirazione (impossibile) di Percy ad essere amato ancora da Anna (“S’ei t’aborre, io t’amo ancora qual t’amava in basso stato”) e la sanzione negativa (cioè un “non far essere”), che di quell’aspirazione ne sancisce l’irrealizzabilità (Anna: “Ah! mai più, s’è ver che m’ami, non parlar con me d’amor”). Con mirabile simmetria seguono quindi nel secondo atto i duetti dello svelamento e del perdono (ancora Anna e Giovanna) e del coraggio e della lealtà (Riccardo Percy e il fratello di Anna, Lord Rochefort-William Corrò). Complesso poi, e decisamente sui generis, il ruolo del paggio Smeton (Manuela Custer): se la figura dell’aiutante maldestro pertiene decisamente alla commedia, e tutt’al più nella tragedia può avere la funzione ancillare di attenuare in qualche momento di contorno la tensione del dramma, qui nel libretto di Romani trasposto in opera da Donizetti assume un rilievo tematico tutt’altro che secondario: la sua avventatezza nel primo atto e la pusillanimità nel secondo faranno mirabilmente (e tragicamente) gioco alle macchinazioni del sovrano.
Nonostante qualche passaggio più lutulento e protratto, specie nel secondo atto, riconosciamo a questa produzione il merito di aver restituito ai suoi tempi originali – a volte imponenti, persino eccessivi – lo svolgersi del dramma. L’ultranovantenne e infaticabile Pier Luigi Pizzi ha creato un affascinante allestimento minimale, cupo e drammatico, vero e proprio spazio metafisico su cui muove il cast, bene accompagnato dall’orchestra diretta da Renato Balsadonna. Il soprano Lidia Fridman ci ha impressionato per la statuaria presenza scenica, e sorpreso per il timbro vocale scuro. Molto convincente il secondo soprano Carmela Remigio nel ruolo di Giovanna Seymour, interpretato con tecnica solida e convincente espressività. Alex Esposito è stato un Enrico VIII incisivo e potente, impetuoso Enea Scala nel ruolo di Riccardo Percy. Lunghi – e meritati – gli applausi dell’intero teatro dopo il drammatico finale incentrato sulla follia di Anna e sul suo amarissimo ultimo rinsavimento, in cui risuona – pur nell’asserito perdono – quasi un oscuro monito di sventura per la Seymour: “Coppia iniqua, l’estrema vendetta non impreco in quest’ora tremenda; nel sepolcro che aperto m’aspetta /col perdon sul labbro si scenda”. |
ANNA BOLENA Tragedia Lirica in due atti Musica di Gaetano Donizetti Libretto di Felice Romani Enrico VIII: Alex Esposito Anna Bolena: Lidia Fridman Giovanna Seymour: Carmela Remigio Lord Rochefort: William Corrò Lord Riccardo Percy: Enea Scala Smeton: Manuela Custer Sir Hervey: Luigi Morassi Direttore: Renato Balsadonna Maestro del Coro: Alfonso Caiani Light Designer: Oscar Frosio Orchestra Coro e Tecnici del Teatro La Fenice di Venezia
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