Scritto da Fabio Busi Domenica 05 Giugno 2011 21:56 Letto : 3073 volte
“Zenit” si snoda attorno a strutture più dinamiche ed ondulanti, la voce filtrata passa solo in parte tra le torbide linee di basso e le scosse ritmiche che squassano ad intermittenza il brano. È un classico labirinto post rock, fitto intrico di note oscure, in cui è la batteria a dettare gli umori, gli scatti irosi ed i riflussi più meditabondi, i sovraccarichi nevrotici ed i momenti di precaria distensione. Il tutto in 2 minuti e 39 secondi. “Reset” rallenta di nuovi i ritmi e costruisce un marasma deflagrante di suoni; scariche violente, note che paiono infinite (come nei migliori momenti Isis) e pulsazioni ritmiche che sembrano mosse dagli stati della coscienza. Poi stacco, riparte la ragnatela di suoni taglienti ed insieme ad essi un basso scolpito nel marmo, in un fiume impetuoso che ingrossa minacciosamente le proprie acque nere e sfocia infine nel vuoto cosmico. L’incantesimo si rompe quanto entra in gioco la voce pulita di “Monty Brogan”. In un viaggio disumano, le parole di un ragazzo ci risucchiano dallo spazio profondo e ci riportano sul pianeta Terra; è il tipico schiocco di dita che risveglia dall’ipnosi. Poco male, le frasi sono belle, il canto desolato e sincero: “Non c’è nessun arcobaleno a custodire il futuro”. Se però devo scegliere un brano da eliminare o comunque rivedere, scelgo questo: i versi non si devono capire così bene a mio modo di vedere, vanno camuffati, filtrati oppure gridati, come farebbe quella bestia di Aaron Turner. La conclusiva “Mahatma” è un'altra gemma indelebile: ritmi tribali, atmosfere mistiche, fumose, orientaleggianti ed un basso micidiale vengono intrecciati con la solita maestria in un vortice straniante. Il finale è in ascesa, come a cercare uno spiraglio di luce nel cielo plumbeo. Solo una grande band può essere in grado di rapire in questo modo l’ascoltatore e portarlo a spasso dove le pare e piace, nei meandri della psiche di questo, oltretutto. Tale rilievo dovrebbe far riflettere non poco sulla precoce grandezza di questi ragazzi. Un lavoro quindi di altissimo livello, che ci mostra come la scena underground italiana sia carica di frutti già maturi o quasi. I dettami del post rock più radicale sono stati assimilati alla perfezione e vengono qui riproposti con grande personalità e competenza. Scoprire band come i Parsec è una gioia immensa per chi è appassionato di musica. La qualità della proposta è innegabile, ma la critica nostrana sarà in grado di cogliere questo fiore, appena sbocciato eppure già straordinariamente bello? 68/100
|
Federico Cavicchi: Chitarra elettrica e voce Anno: 2011 Sul web: |