Scritto da Fabio Busi Mercoledì 04 Febbraio 2009 20:20 Letto : 4734 volte
Musicalmente ci avviciniamo al Pop/Rock di The Will To Death; una melodia molto gradevole e diretta, inserita in una scenografia musicale di grande spessore. Le percussioni in evidenza, arpeggi caldi, suoni ispidi e uno strato di synth che va ad irrobustire il sound. L’andamento del brano è vivace, con momenti pacati e esplosioni di adrenalina. La tendenza alla complessità si palesa definitivamente in “Dark/Light”; una suite in due parti. La prima, Dark, si muove ovviamente nell’oscurità, con poche note di piano ed eco che si inseguono. La seconda, Light, esplode in un caleidoscopio di colori, che lascia poi spazio ad una coda strumentale forse un po’ lunga ma di forte presa emotiva. In “Heaven” si fa notare il basso di Flea (suo compagno nei Red Hot Chili Peppers): colori sono tenui, delicati. È un brano in punta di piedi. È anche il più semplice del disco. Non mancano però ricami interessanti. Quasi una ninna nanna paradisiaca, come dice il titolo, molto piacevole, anche se interlocutoria. È la classica pausa che ci fa rifiatare dopo la ricchezza debordante dei primi cinque brani. “Enough Of Me” divaga un po’: il tono è meno mistico, le sonorità più rilassate. La seconda parte della canzone è dominata da uno sghembo assolo di chitarra, surrogato da un sottofondo esotico di maracas. Grande fulcro del disco è “Central”. Parte con una melodia molto fluida, sopportata da note zuccherine di pianoforte, che esplode potente nel ritornello. Ma la grandiosità del pezzo emerge pian piano. Dopo le strofe iniziali, ci troviamo di fronte ad un lungo climax, il nocciolo vero e proprio della canzone. Solo una struttura simile avrebbe potuto creare quella tensione, quel senso di gioia vitale, di amore per la vita che il brano riesce a suggerire. È una fuga, frenetica, irrazionale, ma che in realtà non ha un vero motivo di essere. Rappresenta le nostre vite, che rincorrono continuamente qualcosa, ma il vero motivo per vivere è la corsa, non la meta. Al di là di queste interpretazioni personali, siamo di fronte ad un punto d’arrivo per John. Il brano è di una completezza estrema; sa coinvolgere, affascina fin da subito, è ricchissimo di elementi musicali diversi e si fa apprezzare per l’immediatezza melodica. La successiva “One More Of Me” mostra un Frusciante inedito, alle prese con un timbro vocale cavernoso. La melodia è una delle migliori, arricchita poi dagli archi che nel finale regalano grandi emozioni. Il congedo è affidato alla foschia mistica di “After The Ending”. Altro chiaro messaggio religioso - filosofico. The Empyrean è un’opera di forte spessore concettuale, oltre che musicale. L’argomento religioso affonda sicuramente le sue radici nelle esperienze traumatiche di John e si proietta verso una concezione positiva della vita. La componente platonica emerge fin da subito e si riconferma in frasi come “Everything is eternal” e “What is has always been and will always be”. Un lavoro che mostra una complessità nuova, frutto anche dei numerosi collaboratori. Dall’amico Flea al fido Josh Klinghoffer, da Johnny Marr al Sonus Quartet. Frusciante ha saputo migliorarsi sotto diversi aspetti. Innanzitutto la continuità; è difficile trovare un brano debole in questo disco. Il lungo periodo di concepimento e produzione ha dato i suoi frutti. Anche la capacità di sintesi è migliorata; cinque anni fa servivano diciotto brani (Shadows Collide With People) per esprimere tutte le potenzialità. Ora ne bastano dieci e il risultato non è affatto inferiore. John ha imparato a non essere dispersivo. Questo disco è un concentrato di tutte le sue influenze e non risulta frammentario. Anzi, è uno dei suoi lavori più uniformi e coerenti. Certo, manca la genialità folle di Niandra LaDes, manca l’emotività quasi straziante di To Record Only Water For Ten Days, ma questo The Empyrean è un lavoro di ottima fattura, che sostituisce all’ispirazione genialoide e scostante del passato una capacità di mediare i contenuti e di rielaborare le forme davvero rara. Non c’è una canzone che ci fa strabuzzare gli occhi o storcere il naso, no, ma ogni brano sa rivelarsi uno scrigno di segreti. Sta all’ascoltatore avere la sensibilità e la pazienza per capirlo. 75/100
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John Frusciante: Voce, chitarre, piano, synth e batteria Anno: 2009 |