La causa "Stairway To Heaven"
Il 16 giugno scorso, la Corte di Giustizia di Los Angeles ha emesso la sentenza riguardo al contenzioso fra Robert Plant e Jimmy Page e gli eredi di Randy California (nome d'arte di Randy Craig Wolfe, scomparso nel 1997) fondatore degli Spirit. La contesa verteva sul presunto plagio dell’arpeggio di chitarra acustica contenuto nel brano “Taurus”, presente nell’album di esordio degli Spirit del 1968, asseritamente presente nell’introduzione di “Stairway To Heaven”, contenuta nel leggendario “Led Zeppelin IV” del 1971.
Chiunque suoni anche minimamente una chitarra sa che il frammento in questione è un cromatismo discendente sulle note basse di un arpeggio di un accordo di La minore. Indubbiamente, la sequenza è presente su ambedue i brani, anche se eseguita con una scansione ritmica lievemente diversa.
Led Zeppelin
Ma, come il perito del tribunale ha potuto dimostrare, la sequenza è presente in innumerevoli composizioni, addirittura fin dal ‘600, ed è stata utilizzata nella musica popolare varie volte, perfino nel l’introduzione di “Michelle” dei Beatles.
Questo genere di citazioni dal patrimonio neoclassico e tradizionale è molto frequente nella musica contemporanea.
E’ peraltro consueta l’incorporazione di melodie folkloriche nelle composizioni classiche (basti pensare a Stravinskij o a Bartok).
Nella fattispecie, per quanto risulti caratteristico, nel brano dei Led Zeppelin il passaggio de quo non rappresenta nemmeno il tema vero e proprio del pezzo, che è quello invece cantato dalla voce di Plant: per questo motivo, a parere di chi scrive, la pretesa della controparte sarebbe risultata insostenibile in qualsiasi tribunale.
Alla luce di quanto sopra, sorge spontaneo riflettere sul fatto che i Led Zeppelin, che effettivamente hanno una certa familiarità con il plagio, siano stati citati in giudizio per un brano obiettivamente ed insindacabilmente originale.
I Led Zeppelin e il plagio
Le contese sull’origine del materiale degli Zeppelin riguardano molti dei loro pezzi leggendari, a partire dal primo album: nel 1969, la nota rivista Rolling Stone accusò la band di plagio con riferimento ai brani “Black Mountain Side” (asseritamene scopiazzato da “Black Water Side” di Bert Jansch) e “Your Time Is Gonna Come” (il cui giro sarebbe stato saccheggiato dai Traffic di “Dear Mr. Fantasy“, loro esordio discografico).
Tuttavia, se in questi due brani il furto non è macroscopico, alla sua uscita, "Dazed and Confused" apparve piuttosto imbarazzante, riprendendo in toto la musica (e il titolo) di “I'm Confused” brano interamente composto dall'americano Jake Holmes e portato al successo dagli Yardbirds (band in cui Page militò per breve tempo). Al riguardo, il cantautore si limitò a spedire una lettera alla band asserendo: "Capisco, è un tentativo di collaborazione, ma penso che dovreste almeno ammettere che sono l'autore e pagarmi i diritti". Tuttavia, la missiva cadde nel vuoto e Holmes, non intenzionato ad aprire un contenzioso, si limitò a riferire alla stampa: «What the hell, let him Page have it “Dazed and Confused!”» («Che diavolo, lasciate che Page si tenga “Dazed and Confused!”»).
I plagi presenti nel secondo album dei Led Zeppelin non sono da meno: l'intro e la chiusura blues di “Bring It on Home” sono identici alla “Bring It on Home” di Willie Dixon, eseguita da Sonny Boy Williamson II (altro brano saccheggiato anche nel titolo). Negli anni settanta la Arc Music (divisione della Chess Records), citò in giudizio i Led Zeppelin per questa infrazione e ottenne un accordo stragiudiziale (non riconoscendo alcun diritto a Dixon, almeno fino a quando quest’ultimo si fece avanti, pretendendo dalla Arc Music quanto a lui spettante).
Led Zeppelin
"The Lemon Song" attinge a piene mani da "Killing Floor" del bluesman Howlin' Wolf. Quest’ultimo brano, eseguito dai Led Zeppelin durante il loro primo tour negli Stati Uniti, cambiò misteriosamente titolo già al secondo concerto in Nord America, talché fu presentato come "The Lemon Song", con liriche modificate da Plant. Nella prima stampa britannica del secondo album, l'etichetta del disco riportava "Killing Floor" come terza traccia, accreditata a Chester Burnett (vero nome di Howlin' Wolf), mentre l'elenco delle canzoni sul retro copertina presentava come terza traccia "The Lemon Song" e ne accreditava il copyright ai Led Zeppelin. Ancora la Arc Music citò in giudizio questi ultimi per violazione del copyright. Le parti, tuttavia, si accordarono in maniera amichevole e Wolf ottenne un risarcimento e l'inclusione di un credito come co-autore nelle successive stampe.
Il riff iniziale del brano “Moby Dick” risale ad una versione, poi inutilizzata, di “The Girl I Love She Got Long Black Wavy Hair”, registrata nell'estate del 1969 alla BBC, brano molto simile a “Watch Your Step”, singolo del 1961 di Bobby Parker, sebbene, ad onor del vero, la progressione avesse una tonalità differente (quello stesso riff fu saccheggiato, per stessa ammissione di John Lennon, anche dai Beatles, per il brano "I Feel Fine" del 1964, così come fu usato dai Deep Purple, nel 1973, per “Rat Bat Blue”).
The Beatles
Il caso tuttavia più eclatante, riguardò il brano più famoso degli Zeppelin: ancora Dixon, infatti, fece causa alla band inglese per “Whole Lotta Love”, lamentando asserite somiglianze con il suo brano “You You Need Love”, eseguito da Muddy Waters. Quest’ultimo era stato già saccheggiato dagli Small Faces, nel 1966, che ne registrarono una loro versione con il titolo “You Need Loving”. Ed infatti, si può notare che il fraseggio vocale eseguito da Plant è particolarmente simile a quello interpretato da Steve Marriott, cantante dei citati Small Faces. Nel 1985, pertanto, Dixon avviò una causa legale contro il dirigibile, conclusasi con la decisione di un risarcimento a suo favore per un importo mai reso noto. A margine, si concordò anche l’inserimento del bluesman come co-autore (lo si può notare in tutte le stampe successive alla causa che riportano, correttamente, il nome di Dixon accanto a quello di Bonham, Jones, Page e Plant). Curiosamente, gli Small Faces non furono mai citati in giudizio da Dixon, sebbene “You Need Loving” sia tuttora accreditata ai soli Ronnie Lane e Steve Marriott. Ed infatti, alludendo al minor successo di quest'ultimo pezzo, Plant ebbe modo di dichiarare all'epoca: «At the time, there was a lot of conversation about what to do. It was decided that it was so far away in time (it was in fact 7 years) and influence that… well, you only get caught when you're successful. That's the game» («All'epoca ci furono molte discussioni sul da farsi. Alla fine decidemmo che si trattava di un'influenza così vaga e remota nel tempo (erano già passati 7 anni) che… beh, ti pizzicano solo quando hai successo. Funziona così»).
Bob Dylan
Caso leggermente diverso, ma non meno interessante, quello riguardante il brano “When the Levee Breaks“: i Led Zeppelin citarono la fonte, mettendosi al riparo da accuse di plagio (il brano attinge da un blues di Memphis Minnie registrato assieme al marito Joe McCoy nel 1929), ma, furbescamente, si accreditarono tutti come co-autori. Stesso discorso per “Travelling Riverside Blues”, brano di Johnson ma attribuito, nella versione eseguita da loro, anche a Page e Plant.
Nel noto album “Physical Graffity”, c’è un altro saccheggio, il brano “In My Time Of Dying”: si tratta effettivamente di una rivisitazione di “Jesus Make Up My Dying Bed”, vecchissimo gospel firmato da Blind Willie Johnson. Coverizzato anche da Bob Dylan (che però non se ne accaparrò la paternità), subì la curiosa trasformazione di brano composto da Page, Plant, Jones e Bonham un volta pubblicato su vinile.
Sullo stesso album c'è un caso simile a quello citato parlando dei brani “When the Levee Breaks" e “Travelling Riverside Blues” ma con sviluppi legali di altro genere. Si tratta di “Boogie With Stu”, attinto palesemente da "Ooh, My Head", scritto e portato al successo da Ritchie Valens. Nello storico album, anche in questo caso, il pezzo è attribuito ai Led Zeppelin unitamente a Ian Stewart, che vi aveva suonato il piano (Stewart fu uno dei membri fondatori dei Rolling Stones, subito estromesso dal gruppo ma rimasto nella cerchia in qualità di assiduo collaboratore), e alla madre di Valens, indicata come Mrs Valens. L'espediente non eviterà al gruppo una causa, comunque risolta al meglio. Al riguardo, Page dichiarò: «What we tried to do was give Ritchie's mother credit, because we heard she never received any royalties from any of her son's hits, and Robert did lean on that lyric a bit. So what happens? They tried to sue us for all of the song!» («Quello che abbiamo cercato di fare è stato di dare i crediti alla madre di Ritchie, perché abbiamo saputo che non ha mai ricevuto le royalties da uno qualsiasi dei successi del figlio, e Robert ha modificato un po' quel testo. Quindi cosa succede? Hanno cercato di farci causa per tutta la canzone!»).
Sul brano “Kashmir”, infine, pesa il sospetto, invero mai documentato, di un furto ai danni di musiche tradizionali orientali.
Blues e citazioni: fra tradizione ed evoluzione
L'indignazione provocata dai plagi piuttosto ricorrenti operati dai Led Zeppelin a sfavore di artisti neri venne causticamente evidenziata dai Mother's Finest, gruppo di Atlanta, in Georgia, composto in prevalenza da artisti neri e dedito ad un hard rock che inglobava con perizia e credibilità elementi funky, soul, rhythm and blues. La loro rielaborazione del classico di Smokey Robinson, "Mickey's Monkey", contenuta in "Another Mother Further", loro terzo album del 1977, e poi ancora nel live di due anni dopo, assorbiva in maniera straordinariamente efficace spezzoni sonori di "Custard Pie", primo pezzo di "Physical Graffiti". Il mash-up funzionava perfettamente ma non omaggiava la band inglese, ignorata nei credits. La mancata citazione (sia del brano, sia degli autori), aveva lo scopo di evidenziare in maniera implicita che il successo degli Zeppelin era stato ottenuto rubacchiando qua e là dalla ricca tradizione della musica nera, prevalentemente blues, omettendo di accreditare alcuno degli artisti saccheggiati. Quella dei Mother's Finest era chiaramente una provocazione: con quella esecuzione, finalmente, i neri si prendevano la loro rivincita, derubando una mega band che, in parte, aveva costruito la sua carriera sull'appropriazione indebita di musica nera, cercando di glissare sulle royaltess.
In realtà, i Led Zeppelin, nel corso della loro carriera, hanno rispettato una consuetudine generalizzata in voga nel mondo blues, cioè quella di rielaborare e citare classici precedenti, prelevando da standard del patrimonio tradizionale, idee, temi, riff, testi. Da un lato questo dimostra come questo patrimonio sia stato alla base degli sviluppi che il rock ha avuto negli anni '70, ma testimonia anche una grande abilità manipolativa di Jimmy Page, capace di dare nuove forme al materiale storico. L’unico limite di questo comportamento è stato quello di aver evitato, in un primo tempo, di citare le fonti.
Nel 1966 quando entrò negli Yardbirds, il chitarrista era già un session man affermato, con una grande cultura musicale che affondava le sue radici nei classici del blues, di cui si dimostrò un profondo conoscitore.
Quando nel 1968 gli Yardbirds si sciolsero, l'epoca d’oro del British Blues si era ormai esaurita: quella fase in cui i giovani musicisti inglesi si erano appropriati del linguaggio elettrico del blues di Chicago, esplorando nella tradizione afroamericana alla ricerca delle origini del rock stesso, nel 1968 si stava spegnendo nel mare della psichedelia e delle nuove tendenze del rock progressive. Lasciato, di fatto, unico padrone della sigla, Page coinvolse nuovi musicisti (Plant, Jones e Bonham), si appropriò dello storico moniker e vi appose un breve suffisso: erano nati i New Yardbirds, presto mutati in Led Zeppelin.
Al di là delle accuse di plagio, al virtuoso inglese va riconosciuto il merito di aver saputo rielaborare questo patrimonio stilistico e sonoro, indirizzandolo verso nuovi orizzonti, quelli dell’hard rock, creando una nuova rivoluzione i cui effetti perdurano fino ad oggi.
Howlin' Wolf a sinistra, Willie Dixon a destra
L'operazione compiuta da Page & Co., dal punto di vista squisitamente culturale, è di grande portata.
Ovviamente, le radici di questa rielaborazione sono già presenti nel British Blues, ma l’approccio che questi musicisti avevano adottato non era stato quello di stravolgere il blues di Chicago, cosa invece fatta dal chitarrista.
In tal senso, un altro segnale di quanto la radice del blues rappresentasse il trampolino di lancio di alcuni musicisti verso nuove direzioni sonore, l’aveva senza dubbio fornito Jimi Hendrix.
Il contributo dei Led Zeppelin, quindi, è oggettivamente essenziale per traghettare questo repertorio fuori dalle celebrazioni e dai tradizionalismi, verso un rinnovamento del linguaggio.
Nell’hard rock degli Zeppelin convergono mille rivoli, innumerevoli tasselli che re-inventano questo patrimonio, riutilizzando l’elemento melodico, il riff, il testo letterario, giungendo pertanto alla ricontestualizzazione di tecniche chitarristiche: si pensi alla chitarra slide e alle accordature aperte, all’uso delle armoniche a bocca o di strumenti folk incrociati con Mellotron, synth e distorsori.
Si tratta, a tutti gli effetti, di un nuovo vocabolario del blues al servizio del rock, un’operazione che, data la natura citazionista e ricostruttiva, anticipa per certi versi le modalità del campionamento che caratterizzeranno poi la rivoluzione dell’hip hop nei confronti del patrimonio del soul, del ryhtmn and blues e del funky.
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