Come ce la racconterebbe, Pier Paolo Pasolini, la vita di Totò nei suoi primi 30 anni? Probabilmente come sta facendo Antonio Grosso in questi giorni, al Cometa Off, cioè in termini surreali e con un taglio narrativo permeato di pulsante drammaticità: questa vocazione tragica della sua visione, infatti, pare voler comprovare la veridicità dell'assunto secondo cui i grandi comici erano tristi nel privato, mentre il taglio obliquo tipico della regia pasoliniana risponde alla verosimile esigenza di far emergere il lato trasversale dell'uomo, quello cioè privo di maschera, per noi ancora inedito, forse anche difficile da accettare, perchè in totale antitesi con il divertimento. Si ride poco, infatti, ad assistere a quest'opera, mentre si riflette molto su ciò che Antonio de Curtis era nel privato: nato e cresciuto in povertà, egli era amante degli animali, non attaccato al denaro, fin troppo generoso, indolente nello studio ma vivace nello spirito, attento osservatore degli ambienti frequentati. Interpretazione bicefala e fin troppo coraggiosa, quella dei due attori collocati sul palco: da un lato Antonio Grosso, impegnato nel duplice sforzo di cogliere e raccontare (talvolta, forse, con ritmi espositivi un tantino virulenti) il substrato emotivo più intimo dell'attore partenopeo; dall'altro Antonello Pascale, spalla ideale perchè in grado di intepretare, con cambi posturali e vocali assai repentini, decine di personaggi, alcuni dei quali decisamente caricaturali, compreso lo stesso Totò (nell'apprezzatissimo numero della marionetta). Sullo sfondo, una scenografia essenziale (composta da due sedie, due altalene, una manciata di grucce alle quali sono appesi vecchi abiti di scena), sublimata da un gioco di luci ad opera di Giacomo Aziz, che sfrutta efficacemente la tecnica del chiaro/scuro, spesso spalmata in termini alterni ora sull'uno, ora sull'altro attore. La recensione fa riferimento alla rappresentazione del 23 marzo 2024. |
La Bilancia e 3atro presentano
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