E' possibile ipotizzare, se non un parallelismo di natura concettuale, quantomeno una correlazione psicologica tra Pier Paolo Pasolini e Michelangelo Merisi da Caravaggio? Per Vittorio Sgarbi la risposta al quesito è certamente affermativa: "Li vedo in continuità con la stessa faccia, la stessa vita", afferma egli in un comunicato stampa. "Il modo migliore di parlare di entrambi è focalizzarsi sulla realtà perché è lo scenario su cui entrambi si muovono. La contemporaneità di Caravaggio è ormai acclarata, il pensiero di Pasolini non si consuma e continua ad interrogarci. La sua capacità di dirci la verità lo rende attuale, profetico". La première del suo spettacolo capitolino al Teatro Olimpico scorre velocissima, in un contesto espositivo estremamente stratificato che offre al ferrarese l'occasione di aggiornare, in chiave pasoliniana, un suo vecchio spettacolo dedicato al Caravaggio. "Nell'immaginario di Pasolini", afferma egli, "ci sono artisti come Giotto, Pontormo, Rosso Fiorentino" ma è proprio nel Caravaggio che "egli trovò quel mondo che era già dentro di lui". Questo percorso nasce a metà del '900 dal critico d'arte Longhi, nella aule dell'Università di Bologna, che consacrò Caravaggio come il pittore della realtà: fu l'artefice della sua rivalutazione, con particolare riguardo alla influenza che egli ebbe sulla pittura barocca del Seicento. E' proprio grazie a Longhi - che al genio lombardo dedicò due mostre milanesi intitolate “Caravaggio e i caravaggeschi” e “I pittori della realtà in Lombardia” (rispettivamente nel 1951 e nel 1953) - che l'immaginario visivo dello scrittore/regista prese forma. Pasolini, infatti, fu allievo di Longhi, da cui trasse una visione del Caravaggio e delle sue opere che lo portarono ad identificarvisi "sentendosi Caravaggio per tutta la vita". Sembra tutto fuori luogo, decontestualizzato, quasi irragionevole, fino a quando Sgarbi, tra le altre cose, compara i volti dei giovani soggetti dipinti dal Caravaggio con le fotografie di Citti, Davoli, Pelosi. Ed è un susseguirsi di rivelazioni incredibili che dimostrano inequivocabilmente quanto la compagine espressiva dell'artista riuscì a permeare l'universo visivo di Pasolini. Tutto ciò viene espresso da Sgarbi con concretezza e fascino. La sua competenza indiscussa, la sua maestria nel cogliere l'essenza di un dipinto, a prescindere da chi ne sia l'autore, e l'innata qualità di saper infondere la materia anche ai profani, lo caricano di ascendente: è affascinante, egli, quando espone, meglio di mille Mieli o Barbero. Possiede, l'abilità di magnetizzare l'uditorio grazie a doti espressive, elementi persuasivi, spunti sostanziali, articolazioni e stratificazioni vocali: egli osserva e traduce a parole in maniera meravigliosamente concreta, tangibile, proprio come concreta e tangibile è l'opera che si appresta a descrivere. Ed è talmente efficace, nella sua esposizione e nella sua perizia magnetizzante, da riuscire a lasciare il segno anche quando prende derive improbabili: riesce a contestualizzare il turpiloquio, ad esempio, che in astratto castra abilmente della sua connotazione triviale e volgare, evidenziandone il lato sostanziale; oppure, rimane incisivo anche nel delirio, come quando si ostina a collocare elementi di modernità, peraltro a vocazione scabrosa, se non truculenta in un'opera del Caravaggio (e non diciamo altro per non correre il rischio di spoilerare), conseguendo risultati a dir poco grotteschi. Non che ciò desti meraviglia, invero, giacché egli, come noto, è talvolta anche (volutamente) grottesco, nel suo modo di porsi con il prossimo. Ciò che conta, alla fine dei conti, è che queste sue dissertazioni, condivisibili o meno che siano, ammaliano alcuni e accendono dibattiti in altri ma sempre hanno il pregio di colpire, scaldare gli animi, spingere alla riflessione continua, che poi sono le cose di maggiore rilevanza: ascoltare Sgarbi vuol dire sentirsi vivi, anche nella consapevolezza del dissenso. Prima di chiudere, non è possibile tralasciare l'impronta lasciata da Valentino Corvino, compositore e polistrumentista che coadiuva Vittorio Sgarbi a livello sonoro: egli copre con apparente disinvoltura un range esecutivo particolarmente esteso, che include raffinate esternazioni musicali o puri virtuosismi. Nella prima compagine è certamente inclusa la sua performance all'oud (sorta di liuto a manico corto di derivazione orientale), chiara espressione di eleganza e disciplina interiore. La stravaganza, l'estro, finanche la follia virtuosistica, sono offerti al violino, con una magnifica profusione allucinata e paranoica, quasi ad incarnare lo squilibrio visionario del Caravaggio nell'atto di creare. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 2 dicembre 2022. |
Pasolini Caravaggio
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