Anna Bolena
Venezia, Teatro La Fenice, 4 aprile 2025

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Anna Bolena alla Fenice
L'Anna Bolena di Gaetano Donizetti è tornata al Teatro La Fenice di Venezia, dopo un’assenza che durava dal 1857, con un nuovo allestimento che ha restituito l’opera alla sua versione integrale rispetto alle edizioni novecentesche ispirate alla celebre ma pesantemente tagliata versione diretta nel 1957 da Gianandrea Gavazzeni (con Maria Callas nel ruolo di Anna Bolena) per la Scala di Milano.

La nuova produzione, affidata al decano Pier Luigi Pizzi per quel che riguarda regia, scene e costumi, con Renato Balsadonna alla direzione dell'orchestra e del coro, ha trovato un’accoglienza entusiasta da parte del pubblico veneziano, nonostante la notevole durata dello spettacolo, di poco inferiore alle quattro ore, ed è stata anche l’occasione per il debutto del nuovo sovrintendente della Fenice, Nicola Colabianchi.

La tragedia lirica “Anna Bolena” segna un punto di svolta nella produzione di Gaetano Donizetti, e può essere considerata uno degli apici dell’epoca romantica: il suo schema narrativo tutto sommato semplice (un re è stanco della sua regina, intriga per liberarsene e sostituirla con un’altra donna, ci riesce) è segnato, lungo il suo svolgimento in due atti, dall’emergere di alcuni tra gli universali semantici della drammaturgia, che coagulano in particolare attorno ai potenti e commoventi duetti dell’opera. Innanzitutto riconosciamo il segreto e il suo nascondimento (cioè, in termini semiologici, ciò che è ma non sembra): Anna Bolena-Lidia Fridman crede di confidare un grave segreto (“Legger potessi in me”) alla sua dama ed amica Giovanna Seymour-Carmela Remigio, e cioè la propria infelicità nel sentirsi non più amata dal re. Ma il vero segreto qui è che proprio Giovanna è la nuova fiamma del re, ed ella non sa come rivelare alla propria regina la tremenda verità: “Alzar gli occhi in lei non oso. Non ardisco favellar”. Vengono quindi Passione e tradimento, manifestandosi su sfondo porpora e grigio scuro (secondo la suggestiva visione di Pizzi) nel duetto tra il sovrano Enrico VIII (Alex Esposito) e l’amante Giovanna Seymour: Giovanna, sinceramente innamorata di quell’uomo potente, desidera “Amore, e fama!”, cui Enrico replica appassionato: “Fama! Sì: l’avrete, e tale che nel mondo egual non fia: tutta in voi la luce mia, solo in voi si spanderà”). Ma al contempo Giovanna si ricorda che amare Enrico significa tradire Anna, e si fa strada in lei l’oscura consapevolezza che aver conquistato il cuore del sovrano costerà caro all’amica: “Non mi costi un regio sposo più rimorsi, per pietà!”. A questo sensualissimo (e applauditissimo) duetto si contrappone quindi, anche cromaticamente (gli attori si muovono ora su una scena dominata dal blu profondo in luogo della porpora) quello tra Riccardo Percy-Enea Scala (primo amore della Bolena) e Anna stessa: qui l’universale semantico è quello dell’amore sacrificato, costretto com’è tra l’aspirazione (impossibile) di Percy ad essere amato ancora da Anna (“S’ei t’aborre, io t’amo ancora qual t’amava in basso stato”) e la sanzione negativa (cioè un “non far essere”),  che di quell’aspirazione ne sancisce l’irrealizzabilità  (Anna: “Ah! mai più, s’è ver che m’ami, non parlar con me d’amor”). Con mirabile simmetria seguono quindi nel secondo atto i duetti dello svelamento e del perdono (ancora Anna e Giovanna) e del coraggio e della lealtà (Riccardo Percy e il fratello di Anna, Lord Rochefort-William Corrò). Complesso poi, e decisamente sui generis, il ruolo del paggio Smeton (Manuela Custer): se la figura dell’aiutante maldestro pertiene decisamente alla commedia, e tutt’al più nella tragedia può avere la funzione ancillare di attenuare in qualche momento di contorno la tensione del dramma, qui nel libretto di Romani trasposto in opera da Donizetti assume un rilievo tematico tutt’altro che secondario: la sua avventatezza nel primo atto e la pusillanimità nel secondo faranno mirabilmente (e tragicamente) gioco alle macchinazioni del sovrano.


Il sovrano quindi: sovrano assoluto, anche in senso semiologico, perché grande Manipolatore (suo l’unico programma narrativo vincente del dramma: cioè far credere che Anna Bolena sia fedifraga e liberarsene in favore della Seymour) ma anche Sanzionatore del suo stesso trionfo (il tribunale che dovrebbe giudicare Anna e sanzionare la vittoria del programma narrativo di Enrico è in realtà una mera finzione giuridica, nient’altro che cera nelle mani del Sovrano, re e giudice di se stesso). E Anna: destinataria di programmi narrativi che la porteranno inevitabilmente alla rovina – la macchinazione di Enrico, l’amore tragico di Percy, quello ridicolo di Smeton, quello infedele di Giovanna. E Giovanna, quindi, portatrice di un progetto impossibile: amare il proprio re e salvare la propria regina. E ancora Smeton e Percy e Rochefort, vittime, deboli oppositori e quindi al fine complici involontari delle macchinazioni di Enrico. Ed eccoci infine di nuovo ad Anna, maestosamente folle nell’intenso finale della tragedia.

Nonostante qualche passaggio più lutulento e protratto, specie nel secondo atto, riconosciamo a questa produzione il merito di aver restituito ai suoi tempi originali – a volte imponenti, persino eccessivi – lo svolgersi del dramma. L’ultranovantenne e infaticabile Pier Luigi Pizzi ha creato un affascinante allestimento minimale, cupo e drammatico, vero e proprio spazio metafisico su cui muove il cast, bene accompagnato dall’orchestra diretta da Renato Balsadonna. Il soprano Lidia Fridman ci ha impressionato per la statuaria presenza scenica, e sorpreso per il timbro vocale scuro. Molto convincente il secondo soprano Carmela Remigio nel ruolo di Giovanna Seymour, interpretato con tecnica solida e convincente espressività. Alex Esposito è stato un Enrico VIII incisivo e potente, impetuoso Enea Scala nel ruolo di Riccardo Percy. Lunghi – e meritati – gli applausi dell’intero teatro dopo il drammatico finale incentrato sulla follia di Anna e sul suo amarissimo ultimo rinsavimento, in cui risuona – pur nell’asserito perdono – quasi un oscuro monito di sventura per la Seymour: “Coppia iniqua, l’estrema vendetta non impreco in quest’ora tremenda; nel sepolcro che aperto m’aspetta /col perdon sul labbro si scenda”.


 

ANNA BOLENA

Tragedia Lirica in due atti

Musica di Gaetano Donizetti

Libretto di Felice Romani

Enrico VIII: Alex Esposito

Anna Bolena: Lidia Fridman

Giovanna Seymour: Carmela Remigio

Lord Rochefort: William Corrò

Lord Riccardo Percy: Enea Scala

Smeton: Manuela Custer

Sir Hervey: Luigi Morassi

Direttore: Renato Balsadonna

Maestro del Coro: Alfonso Caiani

Regia, scene e costumi: Pier Luigi Pizzi

Light Designer: Oscar Frosio

Orchestra Coro e Tecnici del Teatro La Fenice di Venezia

 

ANNA BOLENA 2

 


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