Questa commedia non è soltanto espressione di napoletanità, ma è anche testimonianza di una specifica "tradizione di bottega". Per capire di cosa si stia parlando, si potrebbero richiamare altre forme d'arte, come la pittura o la scultura, ove la realtà "bottega" è notoriamente e da sempre circoscritta ad un luogo preciso, contraddistinto dalla presenza di elementi tipici come sedie, tavoli, pennelli, treppiedi. In tal senso, ad esempio, appare certamente agevole immaginare l'ambiente ove il Verrocchio operava assieme ai suoi talentuosi allievi Leonardo, Botticelli, Perugino. Invero, parlando di teatro, il concetto di bottega può identificarsi in una scuola artistica in senso lato, piuttosto che in un locale. Nel caso in argomento, è d'obbligo richiamare l'espressione teatrale di Edoardo Scarpetta, nata nell'800, poi concretizzata dai figli Titina, Edoardo e Peppino De Filippo, e poi ancora passata ai rispettivi discendenti di questi ultimi, Luca e Luigi. Questa tradizione è contraddistinta da un modus, un tocco specifico, che si potrebbe definire "modalità De Filippo", espressione che conserva in sè il potenziale di entrare nel lessico dell'immaginario collettivo. Orbene, è proprio in questo ambito che agisce attualmente la compagnia di attori impegnata sul palco del Parioli, a Roma, con la messa in scena della pièce "Non è vero ma ci credo", originariamente scritta e trasposta in teatro da Peppino De Filippo nel 1942, poi da egli stesso translata sul grande schermo appena 10 anni dopo: ambientata dall'autore negli anni '30, fu poi adattata da suo figlio Luigi allo stile di vita dell'immediato dopoguerra. Oggi, proprio dallo staff che quest'ultimo coordinava con grande impegno e passione, viene ancor più attualizzata: spariscono i tre atti originari a favore di una rappresentazione unica, della durata di 90 minuti crica, mentre il range temporale diventa quello degli anni '80, tra il pallone di Maradona e la chitarra di Pino Daniele. Ora, parlando di Enzo Decaro (che interpreta il ruolo che fu di Peppino prima, Luigi poi), il suo è certamente un curriculum di tutto rispetto (attore televisivo e teatrale, musicista, regista, sceneggiatore, capacità peraltro sublimate anche da un livello culturale di stampo specifico ed universitario, essendo laureato in lettere moderne), ma cosa c'entra egli con l'alveo fin qui tratteggiato? Con questo quesito nella testa, chi scrive si è colpevolmente approcciato, la sera del 31 marzo 2022, alla visione dell'opera de qua e, beh, non si pensava di poterlo affermare, ma egli rappresenta la lampante dimostrazione che la tradizione di bottega prescinde dai rapporti di consanguineità, afferendo invece al talento e alla passione per un determinato lascito che si desidera riportare in auge. Il risultato si concretizza in un'opera scevra da qualsiasi sbavatura. Bisogna necessariamente assistere, per credere: certi comportamenti, certe movenze, certi tic che egli interpreta sul palco, lasciano letteralmente stupefatti, per la conformità, l'affinità, l'analogia con gli elementi che tipizzano l'arte attoriale di cui si è fatto cenno in apertura. Maggiore suggestione emotiva, inoltre, è determinata dal fatto che tutto ciò è promosso in un contesto teatrale, quello piuttosto blasonato del Parioli, a distanza di 4 anni esatti dalla morte di Luigi De Filippo (che scomparve il 31 marzo 2018, all'età di 87 anni, venendo omaggiato dalla direzione del Parioli, che ivi allestì la camera ardente). E se queste parole non dovessero sortire alcun effetto nei confronti del lettore ancora scettico, valga, a definitivo suggello della efficacia di questa rappresentazione, la presenza in sala di una manciata di attori piuttosto blasonati, tra i quali impossibile non citare l'immensa Giovanna Ralli. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 31 marzo 2022. |
Non è vero ma ci credo
Orario di apertura Martedì, Mercoledì, Venerdì 10.00–13.30/14.30–19.00, Sabato e Domenica 12.00–19.00.
Nei giorni di spettacolo serale la biglietteria è attiva esclusivamente per la recita del giorno stesso. |