A cent'anni dalla pubblicazione dell'omonima opera letteraria, la trasposizione teatrale de “La coscienza di Zeno” torna a scuotere le coscienze spingendo alla riflessione sulle complesse contraddizioni della personalità, sulle debolezze interiori, sui vizi e sui rapporti interpersonali tra esseri umani. L'apertura della pièce è affidata ad un grande specchio rotondo che regala l'immagine di un occhio umano, scelta registica che allude chiaramente alla presenza di una coscienza vigile, attenta, finanche inflessibile. A seguire, la rappresentazione viene esaltata da immagini e suggestioni proiettate sullo specchio che seguono fedelmente quanto accade sul palco: dalle fotografie delle figlie, a scorci della città di Trieste, passando per un tabellone ove vengono ripresi numeri a simboleggiare le escursioni bizzarre di una borsa. Il contorno di luci è dominato dalla presenza di tonalità grigie: nessun colore, quindi, se non un occasionale bagliore rosso utilizzato talvolta al chiaro scopo di evidenziare l'espressività di alcuni passaggi maggiormente suggestivi. La luce, più nel dettaglio, non riempie mai il palcoscenico, ma è sempre proiettata su Zeno e sugli altri attori mantenendo in penombra i profili e il background, come a voler rimarcare il concetto dell'inettitudine o la mancanza di volontà. Queste scelte visive monocromatiche assumono particolare significato, ad esempio, nei frangenti in cui viene fumata l'ultima sigaretta o descritta la consumazione dell'ultimo tradimento. Anche la scelta di collocare alcuni attori con le spalle rivolte alla quarta parete sottende chiaramente all'esigenza di sublimare una visione altra dell'animo umano, in antitesi con le aspettative comuni e collettive. L'interpretazione del personaggio di Zeno da parte di due differenti attori è un altro passaggio maggiormente efficace: al riguardo, l'espressività di Alessandro Haber raggiunge l'apice proprio nel corso del colloquio/confronto con il suo alter ego più giovane, interpretato da Alberto Onofrietti: il suggestivo scambio di battute tra i due assume peraltro anche connotazioni divertenti e, come tali, perfettamente idonei a spezzare l'atmosfera greve sopra descritta. Va inoltre evidenziato anche l'eccellente contributo drammatico ad opera di Valentina Violo, che interpreta Ada, alla quale viene affidato lo struggente grido di disperazione dovuto alla partenza dell'ex marito per l'Argentina. In chiusura, ritorna il grande occhio umano di cui sopra, che chiude definitivamente un cerchio concettuale nel corso del quale si susseguono le suggestioni di cui si è ampiamente detto. In conclusione, questa trasposizione, particolarmente fedele alla sceneggiatura teatrale curata dallo stesso Svevo, rappresenta una genuina testimonianza di una sforzo collettivo notevole, che si traduce in una complessità recitativa di natura stratificata che ha il potere di catalizzare e sedurre, pur considerando l'assenza di una pausa centrale, sofferta, invero, soltanto da una contenuta parte degli astanti. La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 17 ottobre 2023 |
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