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Di tutte le esperienze musicali che possono essere ricomprese all'interno della definizione di
"New English Jazz" quella dei
Soft Machine è senz'alcuna ombra di dubbio quella che viene ancora menzionata con maggiore convinzione e apprezzamento, in particolar modo nel Vecchio Continente.
Lodi sperticate che probabilmente verrebbero internazionalmente (e doverosamente) garantite loro anche oggi, assegnando al gruppo il posto che gli spetta nella mutazione della musica elettrica e del suono del post
Bitches Brew, se solo i
Soft Machine avessero avuto la "fortuna" di nascere negli States.
D'altro canto è ben noto che il genere Canterburyano non sia stato più lo stesso (anche se l'espressione può sembrare abusata) dopo la realizzazione di un capolavoro come
Third.
Molto aperta è ad oggi la discussione sui
Soft Machine dopo la defezione di
Robert Wyatt e sulla validità dell'impegno dei prosecutori di quel progetto.
Il giudizio su questo
Live In Paris, doppio album realizzato in data 2 maggio del 1972, potrebbe essere sintetizzato con il ricorso ad una semplice domanda sull'interesse dell'ascoltatore per un album quale
Fifth; in particolar modo con riguardo alla seconda facciata del disco, nella quale figurava
John Marshall che vediamo impegnato dietro i tamburi nel concerto realizzato a Parigi.
L'incidenza di
Marshall è assolutamente esiziale anche per un altro motivo: infatti per ragioni che ci sembrano di carattere squisitamente tecnico la registrazione del concerto premia in maniera robusta la sezione ritmica, in particolar modo proprio le percussioni; ne risentono, in parte, il saxello di
Elton Dean e in maniera più marcata i soli di organo di
Mike Ratledge, che appaiono in numerosi istanti velati dagli accompagnamenti di piano elettrico dello stesso
Dean. Non presenta alterazioni, invece, il basso di
Hugh Hopper.
Sebbene fosse volta a mutare nuovamente lineup non molto dopo, la formazione non appare assolutamente tronfia o spossata.
Prova lampante ne sono le buone riproposizioni di quei fantastici monoliti ritagliati dal menzionato
Third vale a dire
Slightly All The Time, Out-Bloody-Rageous e Facelift.
Ma è soprattutto nella riproposizione di
Fifth, rielaborato completamente per l'occasione, che la formazione si cimenta con particolare energia e qualità: piuttosto buone, perciò,
All White, Drop e Pigling Bland, anche se i tratti di maggior spessore di tutto il live sono senz'ombra di dubbio la sognante
M.C. ed
As If, per l'occasione piuttosto diluita.
Meritano menzione anche due improvvisazioni:
And Sevens, realizzata con l'ausilio di ben due piani elettrici, insolitamente
Dean suona il piano molto più copiosamente che in altre esperienze dal vivo; per concludere viene proposta
At Sixes, con strumentazione tradizionale, senza eccessivi fronzoli.
Una notazione conclusiva:
Marshall è probabilmente un batterista più "tecnico" e roccioso di
Wyatt, tuttavia quest'ultimo sprigionava in ogni parte del suo impegno una sensazione di imprevedibilità; la linearità sposata da
Marshall, dettata all'ascoltatore attento anche dal ruolo capovolto (rispetto a
Wyatt intendo) dell'hi-hat, suggerisce, piuttosto, la sensazione di un panorama più contenuto.
80/100
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Elton Dean: Alto Saxophone, Electric Piano Mike Ratledge: Electric Piano, Organ Hugh Hopper: Bass Guitar John Marshall: Drums
Anno: 1972 Label: Cuneiform Genere: Jazz/Rock
Tracklist: Disc One 01. Plain Tiffs 02. All White 03. Slightly All The time 04. Drop 05. M.C. 06. Out-Bloody-Rageous
Disc Two 01. Facelift 02. And Sevens 03. As If 04. LBO 05. Pigling Bland 06. At Sixes
   

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