Scritto da Gianluca Livi Venerdì 11 Marzo 2022 13:25 Letto : 1069 volte
Questa nuova fatica discografica racchiude, in soli 10 pezzi, diverse sfaccettature della sua musica e lo fa meravigliosamente. Egli spazia dal folk delicato di "Song Of The Seasons", già espresso, tra gli altri, in "Haverst Moon" (e, ovviamente, in album più rappresentativi attinti dagli anni '70), e di "They Might Be Lost", meravigliosa incursione nell'alveo etereo che già fu prerogativa di quel capolavoro sottovalutato che è "Hawks & Doves" (si allude, più nel dettaglio, alle sonorità intimiste espresse nella side denominata "Doves"). Palesando il suo solito eclettissmo, condisce tre brani di attitudine aggressiva: "Heading West", "Canerican" e "Human Race", sembrano richiamare le asperità di "Times Fades Away", la rugginosa attitudine di "Live Rust", le distorsioni a tratti deliranti di "Rust Never Sleep". Quattro ulteriori pezzi, invece - "Change Ain't Never Gonna", "Shape Of You", "Tumblin' Thru The Years", "Don't Forget Love" - si evidenziano quali episodi più scanzonati, a vocazione sonora più romantica. Infine, c'è "Welcome Back", capolavoro assoluto che, con il suo incedere lento e le sue atmosfere in bilico tra stato lisergico e costante acidità, sembra il naturale seguito del masterpiece "Cortez the killer". E' un'operazione evocativa non nuova al canadese, già effettuata efficacemente con una certa periodicità, anche recentemente (tra gli altri, nei brani “Milky Way” e "Cowgirl Jam", rispettivamente dagli album "Colorado" e "Paradox"). Concludendo, difficilmente consigilerei ad un neofita un titolo della produzione recente di qualsiasi artista ma, in questo caso, non ho alcun dubbio: Neil Young confeziona un'opera che sintetizza abilmente svariate sonorità della sua estesa discografia, e lo fa affermando per l'ennesima volta il suo marchio di fabbrica senza pretesa alcuna di stupire. Ennesima conferma. |
e |
Neil Young: Guitar, Harmonica, Vocals
|