Una fra le più note opere di Carlo Goldoni, rivive in questa avvincente rivisitazione, abilmente giocata sul filo del contrasto interpretativo:
da un lato c'è la accentuata vocazione caricaturale di personaggi come il Marchese di Forlipopoli e le due allegre commedianti, dall'altro la pacata compostezza della protagonista Mirandolina. Alessandro Moser è un maestro di istrionica follia artistica: enfatico, vulcanico, eclettico, catalizza l'attenzione del pubblico con eccentrica attitudine, percorrendo un range espressivo che va dalla vanità alla fragilità caratteriale, passando per la presunzione, l'orgoglio, la meschinità, il tutto con una sapiente dose di ironica stravaganza. Nella stessa direzione si muovono Sara Biondini e Angela Di Tullio, efficacissime nell'assumere, la prima, connotazioni buffonesche, quasi ella fosse un clown in gonnella, la seconda, espressioni facciali e posture così eccessive da sfiorare la compagine del grottesco. Antonia Di Francesco, invece, interpretando la protagonista, viaggia su altre coordinate ed è proprio questo a determinare la componente bicefala accennata in apertura: l'attrice non incarna lo stereotipo della bellezza conturbante, e ciò pare snaturare gli intenti originari dell'autore, che forgiò il personaggio della locandiera per la sua amante, la seducente Maddalena Marliani Raffi. Eppure, la capacità comunicativa di questa attrice esplode letteralmente sul palco: ella è talmente convincente da sedurre d'un colpo tutti gli astanti. La classe, la finezza, la sicurezza interiore, si traducono senza sforzo nella piena padronanza del pubblico - al quale ella anche si rivolge perforando con abilità la quarta parete, pur sporadicamente - e nella apparente disinvolta capacità di tenere sempre impennata la curva dell'attenzione, magari adottando un semplice sguardo od accennando un leggero movimento della mano. A latere di questi talenti artistici così diversi, preme quantomeno citare Ruggero Forniti che interpreta il Conte d'Albafiorita. Egli veste il suo personaggio saccheggiando ora da un contesto, ora dall'altro: palesa un pizzico di bizzarria, spargendola su una consolidata altezzosa alterigia, risultando perfettamente in bilico tra gli eccessi espressivi del Marchese di Forlipopoli e il garbato e sobrio decoro di Mirandolina. Al contrario degli altri citati fino ad ora, egli ci risulta essere un attore non professionista, cosa che ci spinge ad esternare un doppio complimento: il primo va al/alla maestro/a d'arte che ha saputo esaltare questa sua vocazione attoriale; l'altro è diretto a lui, per aver così efficacemente profittato della lezione impartitagli. Anche a livello scenografico/visivo, il regista Moser sceglie un approccio a doppio binario: curatissimi costumi di scena, evidentemente trattati da mano sartoriale piuttosto capace, fanno da contraltare ad una scenografia minimalista dominata dal bianco e dalle trasparenze, il tutto sublimato dall'intimismo tipico dei teatri a contenuta capacità di accoglienza numerica. Se ci è permesso un umile consiglio, di cui spera si vorrà cogliere l'intento costruttivo, le musiche - tutte di stampo modernista, quasi avanguardistico, talvolta, peraltro, diffuse a volume troppo alto - appaiono decisamente fuori contesto, unica "nota stonata" di un opera che, altrimenti, sarebbe a dir poco perfetta. Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 6 gennaio 2023, ore 21:00. |
La Locandiera |