Scritto da Gianluca Livi Domenica 27 Settembre 2009 22:35 Letto : 3480 volte
Pubblicato sul periodico giuridico Rivista di Polizia. Rassegna di dottrina tecnica e legislazione, Santa Maria Capua Vetere, 2000, n. III-IV, 191 ss. Pubblicato su A&B per gentile concessione dell'autore.
Con il termine “bootleg” si suole indicare una registrazione non autorizzata dall’esecutore o dalla casa discografica, di materiale inedito relativo a registrazioni di trasmissioni radio e tv, registrazioni di prove e provini effettuate in sala di incisione, e soprattutto registrazioni di concerti dal vivo di un determinato esecutore (36). In passato, essendo registrati furtivamente e con mezzi di fortuna, e peraltro, successivamente riversati su supporti fonografici in vinile, i bootleg avevano una pessima risoluzione acustica ed erano oggetto delle attenzioni di pochi amatori. Ma da quando i mezzi di registrazione e di produzione si sono perfezionati e numerose innovazioni sono state introdotte in campo tecnologico (37) , la fascia di persone interessate si è estesa enormemente, includendo consumatori più legati all’aspetto musicale che non a quello più proprio del collezionismo di supporti fonografici.
Ebbene, prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo, nonostante alcune innovative sentenze, recepite positivamente anche dagli studiosi del settore (38) l’Italia era uno dei paesi più prolifici di bootleg.
I pochi precedenti giurisprudenziali in materia, si erano limitati ad escludere, seppur in sede di giudizio di legittimità, la configurabilità del reato di cui all’art. 1, legge 22 luglio 1981, n. 406, che puniva chiunque abusivamente riproduceva a fini di lucro, con qualsiasi procedimento di duplicazione o di riproduzione, dischi, nastri o supporti analoghi, ovvero, pur non essendo concorso nella riproduzione, li poneva in commercio, li deteneva per la vendita o li introduceva a fini di lucro nel territorio dello Stato. La tutela penale prevista dalla predetta norma, infatti, riguarda il supporto in cui l’opera dell’ingegno è incorporata e non l’opera in sé e la sua esecuzione. In alcuni casi, i giudici, pur in assenza di prova certa della riproduzione dei supporti, si erano mostrati consapevoli della necessità di reprimere le condotte illegali ricercando gli strumenti sanzionatori nell’ambito della normativa d’autore non ancora novellata e, specificatamente, dell’art. 171, 1° co., lett a), legge 22 aprile 1941, n. 633, il quale prevedeva un delitto a dolo generico a carico di chiunque, a qualsiasi scopo ed in qualsiasi forma, riproduceva e metteva in commercio abusivamente l’opera dell’ingegno altrui (39). Alla modesta elaborazione giurisprudenziale, ha fatto riscontro, nel corso degli anni, una limitata produzione dottrinaria (40), pur nel diffondersi del convincimento tra la pubblica opinione e tra gli stessi operatori di diritto, dell’illiceità dei bootleg, quando posti in essere senza il consenso degli autori e degli altri aventi diritto. Per contro, nell’ambiente discografico, nazionale ed internazionale, ai dischi “ufficiali”, prodotti e commercializzati sulla base di un contratto delle case discografiche con autori o artisti, sono sempre stati contrapposti dischi “non ufficiali”.
Le prime azioni giudiziarie sono state intraprese in sede civile soltanto nel 1991 quando alcune tra le multinazionali di maggiore spicco in campo discografico, temendo che il loro diritti venissero minacciati irreparabilmente durante il tempo occorrente per farli valere in via ordinaria, hanno proposto, davanti a vari pretori, ricorsi ex art. 700 cod.proc.civ., richiedendo provvedimenti di urgenza nei confronti di società produttrici di compact, allo scopo di ottenere l’inibitoria dello sfruttamento di registrazioni dal vivo. I giudici accolsero l’istanza, sostenendo che lo sfruttamento in Italia di registrazioni realizzate all’estero, senza alcun consenso degli autori dei brani musicali, e per essi della S.I.A.E., costituiva un illecito ex art. 61 legge 22 aprile 1941, n. 633, il quale, specificando le facoltà conferite e disciplinate dagli art. 12 e segg. stessa legge, prevedeva, tra l’altro, che l’autore aveva il diritto esclusivo di pubblicare l’opera e di utilizzarla economicamente in ogni forma e modo, originale e derivato. Fece eco un’altra innovativa sentenza del 1993 (41) con la quale, per la prima volta, il giudice ritenne la configurabilità del reato ex art. 171, lett. a), legge 22 aprile 1941, n. 633, nelle ipotesi di importazione, riproduzione e commercializzazione di bootleg, effettuate senza il consenso degli autori e degli altri aventi diritto. Era tutelato però, il soggetto che rivestiva la doppia qualifica di autore e di esecutore (interprete del brano di cui egli stesso è autore), il quale avendo un diritto esclusivo da esercitare (previsto dall’art. 12 della legge 22 aprile 1941, n. 633) poteva opporsi negando alle case discografiche “pirata” il permesso di pubblicare una sua qualsiasi esecuzione dal vivo. Mancava una tutela dell’esecutore, per il quale non era previsto alcun diritto esclusivo. L’art. 73 della legge n. 633 del 1941, prevedeva infatti che fosse versato a suo favore, un irrisorio equo compenso quantificato dal D.P.C.M. n. 252 del 1975 (42) e, successivamente, dal D.P.C.M. n. 201 del 1976 (43). Una volta che il produttore di bootleg effettuava il versamento di tale equo compenso, questi poteva tranquillamente distribuire le copie prodotte dei compact disc pirata. Un esecutore la cui scaletta artistica era composta unicamente di brani di altri autori, percepiva l’equo compenso, ma non esercitava un diritto esclusivo di registrazione, non potendo in alcun modo impedire la fabbricazione e la distribuzione di bootleg concernenti le sue esecuzioni dal vivo; non poteva, per esempio, opporsi alla pubblicazione di una sua rappresentazione artistica non perfettamente riuscita o mal eseguita o, ancora, bruscamente interrotta per problemi tecnici o di salute, a meno di un pregiudizio al suo onore e alla sua reputazione, così come previsto dall’art. 81 della legge 22 aprile 1941, n. 633. Quanto all’autore dei brani eseguiti dall’esecutore, egli era tutelato nel momento in cui la S.I.A.E. provvedeva ad incassare la somma prevista dalla legge relativa al diritto d’autore. Infatti, una volta che la S.I.A.E. aveva provveduto all’incasso dei diritti d’autore, i compact disc venivano regolarmente contrassegnati con il timbro della società, a testimonianza dell’espletamento degli obblighi in materia.
Anche la casa discografica dell’esecutore aveva una labile tutela giuridica: avendo essa stipulato con l’esecutore un contratto di prestazione esclusiva, poteva infatti contestare alla casa discografica “pirata” un comportamento di concorrenza sleale (44). Per contro questo percorso di tutela normativa veniva quotidianamente scongiurato dall’eccessivo numero di bootleg prodotti e, di conseguenza, dalle lunghe procedure di accertamento, durante le quali la distribuzione dei prodotti pirata, una volta avviata, difficilmente si arrestava, rendendo pressoché impossibile una tempestiva ed immediata azione di contrasto.
Finalmente, nel 1994, in un clima di attese e sperate innovazioni, il d. lgs del 16 novembre 1994, n. 685, disciplinò lo specifico settore, apportando sostanziali modifiche alla legge 22 aprile 1941, n. 633. Al diritto esclusivo dell’autore, infatti fu finalmente affiancato il diritto esclusivo dell’esecutore che prevede che gli artisti interpreti ed esecutori abbiano, indipendentemente dalla eventuale retribuzione loro spettante per le prestazioni artistiche dal vivo, il potere esclusivo di autorizzare la fissazione delle loro prestazioni artistiche (art. 80, legge 22 aprile 1941, n.633, modificato dall’art 13, d.lgs. 16 novembre 1994, n. 685). Con l’inserimento del diritto esclusivo dell’esecutore, la novella ha introdotto l’onere del possesso dell’autorizzazione eventualmente prodotta dagli aventi diritto, facendola gravare, chiaramente, sul produttore del bootleg; con tale innovazione, è stata eliminata l’incombenza, rimessa all’artista, di rivalersi in sede giudiziaria dopo che la S.I.A.E. aveva apposto il proprio contrassegno sui compact disc pirata (45).
L’art. 171-quater, introdotto dal decreto, prevede una nuova figura di reato, punendo con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da lire un milione a lire 10 milioni chiunque, abusivamente ed a fini di lucro, esegue la fissazione su supporto audio, video o audiovideo delle prestazioni artistiche. Quest’ultima operazione, dunque, altro non è se non una seconda fissazione. Ed è proprio durante questa fase che si può dimostrare la sussistenza di un concreto scopo di lucro, che si manifesta, quindi, non già al momento della registrazione della rappresentazione artistica, ma al momento della sua duplicazione o, chiaramente, della sua vendita. L’eventuale registrazione effettuata a titolo personale senza il consenso dell’artista, comporta quindi una mancanza di tipo civile e non penale, che invece si avrebbe, come già detto, perseguendo un fine di lucro.
L’art. 171-quater assicura protezione a tutti i diritti esclusivi di utilizzazione economica spettanti all’autore e prevede un delitto a dolo generico a carico di chiunque, abusivamente, riproduce, vende o mette in vendita o pone altrimenti in commercio un’opera altrui. Nella condotta sanzionata da tale articolo, pertanto, la riproduzione ha per oggetto l’opera dell’ingegno (corpus mysticum) in qualsiasi forma realizzata. Quella prevista dall’art. 171-ter invece, affrontata nel paragrafo precedente (che punisce chiunque, a fine di lucro, con qualsiasi procedimento riproduce dischi, nastri, o supporti analoghi ovvero, pur non essendo concorso nella riproduzione, li pone in commercio, li detiene per la vendita, li introduce a fine di lucro nel territorio dello Stato), ha per oggetto sia il supporto nel quale l’opera è incorporata (corpus mechanicum), sia l’opera stessa, protetta in quanto e perché contenuta nel supporto. Ne deriva che persona offesa dal reato previsto dall’art. 171-ter, deve ritenersi il titolare del diritto connesso di riproduzione e di messa in commercio del supporto e, nel contempo, il titolare del diritto d’autore e di riproduzione e di messa in commercio dell’opera dell’ingegno incorporata. La persona offesa dal reato previsto dall’art 171-quater, invece, è solo il titolare del diritto d’autore o dell’artista, in quanto la riproduzione concerne solo l’opera e non anche il supporto (46).
L’art. 80 della legge 22 aprile 1941, n. 633, attribuisce agli artisti interpreti il potere esclusivo di autorizzare la fissazione, la riproduzione diretta ed indiretta, la radiodiffusione o la comunicazione al pubblico nonché la distribuzione delle loro prestazioni artistiche. Ciò posto, non ci sono dubbi sulla responsabilità penale di chi dovesse commercializzare supporti fonografici fabbricati prima dell’introduzione della novella o di chi volesse oggi fabbricare registrazioni di rappresentazioni artistiche effettuate antecedentemente all’entrata in vigore della novella, per i quali corrispose a suo tempo gli importi relativi ai diritti d’autore. Nel primo caso la norma colpisce non già la fase produttiva, avvenuta legittimamente prima delle innovazioni normative, ma la fase della commercializzazione, avvenuta sotto la legislazione novellata. Nel secondo caso, invece, la norma colpisce la fase produttiva - e naturalmente un’eventuale successiva fase distributiva - ancorché i diritti d’autore fossero stati corrisposti prima della novella.
Qualora ne ricorrano i presupposti, infine, si può applicare l’art. 171-ter, lett. c., che punisce colui che vende supporti non contrassegnati dalla S.I.A.E. L’applicabilità di tale norma trova la sua ratio nell’onere della dimostrazione del possesso dell’autorizzazione alla pubblicazione di una rappresentazione artistica, gravante sul produttore del bootleg. Finché, infatti, il produttore non dimostra di possedere tale autorizzazione, concessagli dall’artista o dalla casa discografica, la S.I.A.E. non autorizza la pubblicazione dell’opera su supporto.
Quanto alla produzione di supporti fonografici riproducenti rappresentazioni artistiche, va detto che, alla scadenza dei diritti degli autori e degli artisti - rispettivamente di 70 anni dalla data di morte per i primi e di 50 anni dalla performance o dalla rappresentazione per i secondi, cioè quando l’opera è caduta in pubblico domino - chiunque potrà perseguire scopi di lucro producendo e vendendo rappresentazioni artistiche, senza dover corrispondere compensi ad artisti ed autori, né subordinando tale attività alla loro autorizzazione. Sortendo l’effetto di riportare sotto tutela numerose opere cadute in pubblico dominio, infatti, un decreto del 1996 (47) ha esteso la durata dei diritti degli autori, prolungandoli da 50 a 70 anni dalla data di morte, e quella degli esecutori, prolungandoli da 20 a 50 anni dalla data della performance o della rappresentazione.