"Capiamo ciò che siamo ma non chi potremmo essere". Questo brocardo riassume efficacemente il senso di quest'opera, che sarebbe ingiusto liquidare quale semplice commedia.
Senza soffermarci sulla trama (basti dire, al riguardo, che i protagonisti agiscono all'interno di un vecchio manicomio dismesso, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, guidato da un direttore crudele e cinico, fino a quando decidono di scappare verso la libertà, lasciando tuttavia che il destino segua il proprio naturale corso), questa rappresentazione offre l'opportunità ad un nutrito e dotato cast attoriale, di rappresentare molto efficacemente la follia umana secondo diversi punti di vista: intepretazioni dinamiche e dirompenti, che si estrinsecano in una comicità a tratti vulcanica, maggiormente efficace anche grazie ad una valida comunicazione non verbale, costruita su azzeccate posture del corpo e ben contestualizzate espressioni facciali, ancorchè talvolta caricaturali, per non dire grottesche. Ottima la regia a firma di Antonio Grosso, che dimostra non poco tatto nel presentare la follia umana, qui intesa non come deviazione della normalità, ma rivelatrice di un qualcosa di reale, pur alternativo. Significativi, poi, alcuni singoli frangenti che spingolo ad alcune considerazioni: in primis, fa piacere riflettere, in prossimità del Giorno della Memoria, sull'atrocità riservata ai pazzi del manicomio, purtroppo in linea con la sequela altissima di crimini perpetrati dai regimi nazi-fascisti; verso la fine della rappresentazione, inoltre, sono lodevoli sia la citazione di "Minchia, Signor Tenente", valida canzone a vocazione drammatica a firma dell'indimenticato Giorgio Faletti, sia la dedica dell'opera a tutte le persone oppresse, tra le quali Mahsa Amini, ragazza picchiata a morte dalla polizia iraniana per aver asseritamente indossato il velo non rispettando i crismi imposti dal regime. Questa recensione di riferisce alla rappresentazione del 20 gennaio 2024. |
dal 18 al 28 gennaio 2024
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