Spettacolo che si è dimostrato idoneo a coinvolgere il pubblico ma che, di fatto, ha compiuto soltanto in parte la sua impresa. Grandi aspettative nei primi minuti di scena, affidati ai due domestici Marianna Menga e Patrizio Cigliano) che hanno aperto catturando grande interesse e destando curiosità in ordine allo svolgimento della storia. Entrambi in possesso di spiccate capacità interpretative, hanno saputo far sorridere il pubblico attraverso sottili fraintendimenti verbali. L'esordio è a dir poco avvincente: un palco che riproduce con gran gusto estetico un contesto di chiaro stampo ottocentesco, sublimato da un gioco di luci estremamente azzeccato e musiche assai suggestive. Le maestranze che si celano dietro ai tre contesti appena citati esprimono competenza e professionalità raramente riscontrate da chi scrive in altri compagini teatrali. L'ingresso dei due domestici è al fulmicotone: Patrizio Cigliano è un fiume in piena: brillante, vulcanico, eclettico, connota la sua interpretazione di stratificazioni espressive che palesano capacità comunicativa e abilità interpretativa; Marianna Menga lo supporta abilmente nel difficile ruolo di spalla, palesandosi quale sorta di incudine putativa del collega martello, riuscendo tuttavia a ritagliarsi uno spazio nell'area appena smossa dal turbinoso collega. Entrambi tipizzano la loro interpretazione di elementi pittoreschi, ai limiti del caricaturale, riuscendo subitaneamente a magnetizzare l'attenzione degli astanti, creando un'aspettativa altissima, non pienamente confermata dagli altri attori, che entrano in scena poco dopo, manifestando analoghe abilità interpretative sempre votate alla goliardia ma connotate da una più sobria impostazione. L'ingresso di Raffaele Castria testimonia un'altra eccellenza: in evidente contrasto con l'attitudine quasi farsesca dei suoi colleghi, egli manifesta una sobrietà posturale ed espressiva che, apparentemente decontestualizzata, riesce invece a solleticare nell'uditorio una compostezza fino a quel momento del tutto assente (unica nota fuori posto, la consumazione rumorosa della zuppa, una circostanza in antitesi con il blasone palesato dal personaggio, peraltro rimasta senza alcuna spiegazione plausibile anche nel prosieguo). Gli aspetti positivi, purtroppo, terminano qui: la regia - ad opera dello stesso Castria - risulta schiacciata da una trama poco lineare, a tratti macchinosa, che di fatto, invece di stimolare attenzione, rischia di deconcentrare. I tempi comici, peraltro, sono talvolta disattesi, stante la presenza purtroppo dominante di battute tutt'altro che fulminanti, preannunciate invece dal promettente ingresso della servitù di cui si è detto in apertura. E se risulta apprezzata l'eliminazione della quarta parete allorquando lo stesso Castria si colloca efficacemente nella front line del palco, commentando in termini dissacranti i numerosi interventi scritti del pubblico, raccolti dalle maschere durante l'intervallo (un simpatico diversivo che contribuisce ad impennare la curva dell'attenzione), non piacciono le incursioni piuttosto invasive degli attori tra le poltrone del teatro, candele alla mano. Se ci è concesso esprimerci in termini comparativi, quest'opera potrebbe manifestare il medesimo potenziale sismico e delirante della pièce teatrale "Che disastro di commedia" (grazie alla presenza di un cast in grado di navigare con apparente disinvoltura nel faceto e nel surreale), ma che tuttavia è lontana dall'emulare per colpa di una sceneggiatura povera di dialoghi, battute sferzanti, finanche comicità grossolana, tutti ingredienti che rappresentano una imprescindibile conditio sine qua non quando ci si prefissa lo scopo di stimolare grasse risate da osteria. (Gianluca Livi)
Queste recensioni si riferiscono alla rappresentazione del 16 dicembre 2023. |
A CENA CON DELITTO
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