Un azzardo, parzialmente riuscito, quello di trasporre uno dei cento film da salvare della storia del cinema italiano, sul palcoscenico di un teatro.
Una premessa doverosa: è sempre un reale rischio il tentativo di realizzare una cover di un lavoro artistico celebre, affermato, studiato e già largamente apprezzato nelle sue linee originali. Può trattarsi di un brano musicale, di un dipinto, di un film, o di una qualsiasi forma d'arte si voglia andare a prendere in considerazione e risulterà comunque un'avventata scommessa; la sua rivisitazione infatti, si dovrà confrontare, inevitabilmente, con un'opera la cui percezione è consolidata nella memoria sensoriale di chi si trova ad accostarvisi. Potrà risultare come un artificio linguistico ma la definizione più adeguata e calzante, per descrivere ciò a cui si è vincolati, assistendo a questo lavoro/rompicapo anche un po' criptico, partorito dalla libertina penna di Enrico Maria Carraro Moda, si può così enunciare: una sorta di "illusionismo anamorfico" composto da "ideodrammi" che, per essere compresi, necessitano di una decodifica, nonché di una successiva ricomposizione soggettiva, alla luce della logica dell'arte pasoliniana. Il regista ed attore romano, ha voluto realizzare una sintesi, il più possibile fedele e coinvolgente, dell'animo e del carattere di Vittorio Cataldi, l'accattone del primo lavoro registico (1961) di Pier Paolo Pasolini. Nell'adeguata cornice del palco del Teatro Trastevere, ha messo in scena, insieme ad un cast, numericamente ridotto (ma certamente duttile, preparato e a volte impudente), un mosaico di quadri scenici simbolici, i quali (senza discostarsi dai dialoghi originali), una volta decriptati, sono riusciti nell'intento di tratteggiare il cammino del protagonista nella sua evoluzione e crescita morale e caratteriale. Invischiato nella paludosa cornice di una vita grama, strafottente, scanzonata, amorale, illecita, amara, incosciente, anaffettiva e mestamente rassegnata, grazie all'incanto dell'amore per una giovane ed innocente fanciulla, il nostro spavaldo sottoproletario, si impegna in un'effimera prova di redenzione, che lo trascina però, in un prevedibile scontato fallimento e quindi (al netto di colpi di scena), alla sua tragica fine. Il teatro è stato utilizzato come estensione del palco e gli spettatori stessi sono stati coinvolti, in alcuni casi, in prima persona; un display luminoso sul fondale del palcoscenico (tele controllato dagli attori) è stato utilizzato come parte integrante della sceneggiatura; le luci sono state protagoniste della scenografia (anche quelle alogene puntate sulla platea): la sensazione generale è che si sia cercato di coinvolgere con una rappresentazione che si potrebbe dire immersiva, coloro che hanno assistito allo spettacolo; si è teso oltretutto, alla provocazione ad ogni costo, anche con scene molto scabrose (per chi scrive, decisamente evitabili) al confine con l'erotismo esplicito. La capacità interpretativa e di espressione (anche non verbale) degli attori deve essere energicamente lodata, sia per l'efficacia comunicativa, che per l'audacia e l'arditezza a cui si sono professionalmente prestati. Un imperativo plauso al coraggio profuso da Carraro Moda, nel volersi lanciare in quest'avventura, che certamente tiene alta l'attenzione e la mente di coloro che ne fruiscono, "scomodamente" adagiati sulle poltrone della platea. |
Accattone
Teatro Trastevere
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