Scritto da Valentino Butti Venerdì 21 Aprile 2017 10:36 Letto : 3640 volte
L’album è un concept incentrato sulla vita di un anonimo impiegato che, come nelle varie diramazioni di una metropolitana, cambia “linea” e vita alla ricerca di se stesso. E’ un rock sinfonico, quello del gruppo milanese, che trae origine negli anni '70, ma che si colora di tonalità più attuali, risultando convincente sia nelle parti cantate (in inglese), sia nelle pregevoli soluzioni strumentali. Un lavoro dinamico e coinvolgente e, per certi aspetti, “rassicurante” con tutti gli ingredienti dosati nella giusta misura e tali da rendere appetitoso ognuno dei cinquanta minuti di durata dell’album. La traccia iniziale, “Dive with me” è uno strumentale ad ampio respiro dominato dalle numerose tastiere di Gallani (organo, mellotron, synth…) ed impreziosito dagli interventi di Chiara Alberti (cello), Luca Tarantino (oboe) e Giulia Zanardo (flauto). Le band di riferimento? Strano a dirsi ma Hostsonaten ed Ezra Winston (soprattutto il secondo album) non sono così distanti. “Underground ride” ci permette di apprezzare la calda voce di Francesco Lovari. L’inizio è dolcemente acustico e vellutato, poi qualche spunto dell’elettrica di Palmisano prima che il brano distenda le ali in una sinfonia di colori e suoni abbaglianti. In “Embankment”, dopo un inizio soft, la band mostra i muscoli con ritmiche sferzanti e chitarra heavy, appena stemperate dalle immancabili incursioni di Gallani. Emozionante e malinconico il finale per voce e pianoforte. L’oscura “Temple” è un altro sviluppo del sound dei Cellar Noise che, nei momenti più hard, “flirta” con gli ultimi Porcupine Tree (ecco un altro riferimento attuale per la band). Finale ancora da brividi con chitarre acustiche, oboe ed un bell’intervento di Palmisano ad aggiungere quel “quid” al già splendido brano. Quando tutto sembra volgere al termine un’ulteriore esplosione strumentale va a coronare un brano davvero sontuoso. Fra tanto splendore la frizzante “Blackfriars” passa quasi in secondo piano, anche perché il brano successivo “Move the stone” è un’altra prova cristallina delle capacità della band di creare atmosfere delicate e seducenti. Su coordinate simili si pone la conclusiva “Monument” con un ottimo e pirotecnico finale. I giovanissimi Cellar Noise fanno centro al primo tentativo e confermano la vitalità della scena “progressive” italiana. Ora però viene il difficile, con “l’obbligo” di ripetersi a questi altissimi livelli. |
Francesco Lovari: Voce e percussioni Anno: 2017 |