Scritto da Gabriele Martelli e Roberto Cangioli Giovedì 15 Dicembre 2016 18:30 Letto : 3539 volte
I groove insistenti di “Red Line”e della successiva “Green Dawn” sono certamente una cifra stilistica ricorrente nella musica degli Stolen Apple, i quali dimostrano di avere ben chiara la lezione di Pretty Things e 13th Floor Elevator su come creare un rock anfetaminico davvero energico. Accanto a brani tiratissimi, gli Stolen Apple sono però in grado di offrire anche ottime ballate desertiche come “Mystery Town”. Questa traccia è uno dei momenti più alti dell’album: un gusto southern rock mischiato a chitarre vagamente surf danno vita ad una song semplice e piacevolissima, ottimo compromesso tra suono vintage e stile compositivo attuale. Ascoltando “Trenches” ci si trova davanti ad un disco ben suonato ma soprattutto ben pensato, dove ogni traccia ha una sua peculiarità che la rende interessante, intuendo così che la band ha voluto dare il meglio di sé per questo lavoro in studio. Ottimo ascolto per chi ama le band che non si limitano a creare un proprio suono ma che mettono sul piatto anche idee musicali pregnanti con cui caratterizzare ogni momento del disco. Gabriele Martelli Fiorentini, nati nel 2008 dalle ceneri dei Nest (del cui nucleo originario sono rimasti i due membri fondatori, ossia Riccardo Dugini e Luca Petrarchi), a cui si sono aggiunti nell’organico Massimiliano Zatini (già collaboratore in passato con i Nest) e Alessandro Pagani (già batterista dei Subterraneans nonché una delle menti di Valvova/Shado Records), gli Stolen Apple giocano agli autori impegnati con risultati non sempre convincenti. Il nome della band è ispirato alla storia di Ernst Lossa, bambino jenish ucciso nel 1944 dai nazisti nell’ambito del loro programma di sterminio degli individui non autosufficienti, narrata fra gli altri da Marco Paolini nel suo spettacolo “Ausmerzen”. Sicuramente le “trincee” di questo primo lavoro in cui sguazza la band hanno storie profonde risalenti a decenni fa: il suono risente l’eco di varie scuole che si potrebbero sintetizzare in uno shoegaze amalgamato a sonorità country, con qualche influenza psycho-punk e che, tutto sommato, restituisce all’orecchio una piacevole modernità. Sicuramente un album eterogeneo (12 le tracce) in cui c’è spazio per la curiosità musicale e che richiama passioni, emozioni e riverberi sperduti in lontani (nel tempo) stadi d’abbandono. Il suono è grezzo (ma non per questo non curato), pare un live registrato in studio in cui l’importante non sono tanto i fronzoli, quanto l’impatto della voce e dei testi in inglese (se diciamo “minimalisti” ci intendiamo?). Ballate psicotiche con riverberi indiani (la prima “Red Line” ricorda alcune sonorità beatlesiane di “Revolver”) frammiste a riverberi psichedelici (“Pavement”) ed esplosioni indie-rock anni ’90 (“Falling Grace”, che è anche un video), per un disco che ha la necessità di testimoniare le speranze adolescenziali della band: visioni futuristiche andate perdute o disilluse dall’impatto con la realtà. Concetti sublimi come amore, pace e libertà, echi di un tempo in cui la musica si avvicinava al sogno. Perché in fondo, come suggeriscono le note che accompagnano questo disco, quello a cui l’uomo ambisce sono le trincee moderne, le zone di sicurezza dove si celano le nostre fragilità umane, un posto protetto dalle inesorabile quotidiano che sta cambiano le nostre prospettive di vita. Un disco certamente pieno di passioni, un caleidoscopio di suoni, slegato da vincoli tecnici, mode o coinvolgimenti esterni.
Roberto Cangioli Anno: 2016 Label: Autoproduzione in collaborazione con Rock Bottom Records Genere: Alternative Rock/Psychedelic Rock Tracklist: 01. Red Line 02. Green Dawn 03. Fields Of Stone 04. Pavement 05. Falling Grace 06. Living On Saturday 07. Mistery Town 08. Something In My Days 09. More Skin 10. Daydream 11. Sold Out 12. In The Twilight Formazione: Alessandro Pagani. Batteria, Voce, Piano, Chitarra Riccardo Dugini: Chitarre, Voce Luca Petrarchi: Chitarre, Synth Massimiliano Zattini: Basso, Voce, Armonica, Acoustic Slide
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