Caravaggio 2025
Roma, Palazzo Barberini, dal 7 marzo al 6 luglio 2025

Stampa

Teatro e altre tendenze

Inserita nella compagine celebrativa del Giubileo 2025, è attualmente in corso, presso Palazzo Barberini, a Roma, la mostra "Caravaggio 2025", organizzata in collaborazione con la Galleria Borghese, con il supporto della Direzione Generale Musei - Ministero della Cultura e con il sostegno di Intesa Sanpaolo. Al suo interno è possibile ammirare varie opere del Merisi, molte delle quali conservate in città straniere: "Ecce Homo" (1), "Santa Caterina d’Alessandria" (2), "Marta e Maddalena" (3), "San Giovanni Battista" (4), "San Francesco in estasi" (5), "I Bari" (6).
A queste, si aggiungono
"Giuditta e Oloferne" (l'unico che è collocato stabilmente presso lo stesso Palazzo Barberini), il "Ritratto di Maffeo Barberini" (attinto da una collezione privata di Firenze) e Il Martirio di Sant’Orsola” (dalle
Gallerie d’Italia - Napoli, sede museale di Intesa Sanpaolo Napoli).
Proprio al citato istituto bancario si deve il merito di un complesso lavoro di restauro dell'ultimo dei dipinti citati, che ha permesso di riportare alla luce le nuove figure. Tale restauro è stato condotto nei primi mesi del 2025 presso il laboratorio di restauro delle Gallerie d’Italia - Napoli.
"Il Martirio di Sant’Orsola" - ove la tecnica del chiaroscuro vede la prevalenza delle ombre rispetto alle luci - è un'opera assai
travagliata,
e non poteva essere altrimenti, parlando del Merisi, artista dall'animo irrequieto che visse anni dissoluti: iracondo e violento, fu oggetto di processi per rissa, lesioni, finanche omicidio, reati che lo costrinsero ad una vita da fuggiasco per tutta la Penisola.
Il dipinto in questione, l'ultimo dell'artista lombardo, venne realizzato nel 1610 su commissione del principe Marcantonio Doria (la cui famiglia aveva per protettrice proprio Sant'Orsola). Secondo alcuni, la dominanza dei toni scuri che tipizza il dipinto, riflette le inquietudini del suo conclusivo periodo di vita. 
Ancora fresco di pittura, venne incautamente esposto al sole, poi soggetto a trasporto alla volta del committente. Tornò a Napoli nella prima metà dell’Ottocento, giungendovi per via ereditaria al ramo Doria dei principi d’Angri e successivamente, circa un secolo dopo, ai baroni Romani Avezzano d’Eboli. Attribuito per anni a Mattia Preti (tra i principali esponenti del barocco italiano con particolare riguardo al caravaggismo e alla pittura napoletana del Seicento), venne infine acquistato nel 1972 dalla Banca Commerciale Italiana (poi confluita nel Gruppo Intesa nel 1999).
La sua reale paternità fu chiarita soltanto nel 1980, grazie al ritrovamento, nell'archivio Doria D'Angri, di una lettera scritta a Napoli il 1º maggio 1610 da Lanfranco Massa, procuratore della famiglia Doria.
Il restauro in questione ha permesso di recuperare il braccio e la mano tesa di un personaggio che tenta invano di arrestare la freccia scoccata dal carnefice, un tendaggio sullo sfondo, teste dietro il piano della santa, prima non visibili. Il dipinto ostenta anche una nuova cornice secentesca "che è stata adattata al climaframe realizzato ai fini di garantire una conservazione ottimale".
Tralasciando considerazioni sul fatto che la mostra offre la rara opportunità di ammirare dipinti non facilmente accessibili, la maggior parte dei quali confluiti a Roma per la prima volta, chi scrive consiglia caldamente di dedicare al Caravaggio un'intera giornata, gorvagando per Roma, ove sono presenti moltissimi dei suoi dipinti.
Queste le location: la Chiesa San Luigi dei Francesi (vi sono collocati tre capolavori assoluti del pittore lombardo (7): "Il Martirio di San Matteo", "La Vocazione di San Matteo" e la seconda versione del "San Matteo e l'angelo"), la Chiesa di Sant’Agostino (ove è esposta la “Madonna dei Pellegrini”), la Basilica di Santa Maria del Popolo (la "Conversione di San Paolo" e la “Crocifissione di S. Pietro”), la Galleria Doria Pamphilj (ove sono esposte una delle due versioni identiche del “San Giovanni Battista” (8) nonché la "Maddalena Penitente" e il “Riposo durante la Fuga in Egitto”), la Galleria Borghese, ove è conservato il maggior numero di opere del Caravaggio (“Fanciullo con Canestra di frutta”, “Bacchino Malato”, “Madonna dei Palafrenieri” e “Davide con la Testa di Golia”), i Musei Vaticani, ("Deposizione di Cristo"), la  Pinacoteca Capitolina (l'altra copia del “San Giovanni Battista” (8) e "Buona Ventura"), la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Corsini (ove è esposta un'ulteriore versione del “San Giovanni Battista“ (8)).



(1) Museo del Prado di Madrid
(2) Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid
(3) Detroit Institute of Arts di Midtown Detroit
(4) Nelson-Atkins Museum di Kansas City
(5) Wadsworth Atheneum of Art di Hartford
(6) Kimbell Art Museum di Fort Worth
(7) ai quali si aggiungono "Storie di Santa Cecilia" del Domenichino, e una fedele riproduzione della "Santa Cecilia" di Raffaello a firma di Guido Reni.
(8) Il soggetto di San Giovanni Battista è ricorrente nella pittura del Caravaggio, che ne realizzò almeno otto dipinti. Inizialmente, Giovanni era solitamente un ragazzo o un giovane solo, nel deserto (raffigurazione che si basava su una breve affermazione del Vangelo di Luca secondo cui "il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele"). Dopo queste opere raffiguranti Giovanni da solo, realizzate nei primi anni, Caravaggio dipinse tre scene: la "Decollazione" (Malta), e due opere raffiguranti Salomè che mantiene la sua testa (una a Madrid, e una a Londra). Non è certo che il "San Giovanni Battista" conservato a Toledo sia firmato da Caravaggio o da Bartolomeo Cavarozzi, suo giovane allievo. Stesso discorso per il "Sacrificio di Isacco", la cui attribuzione è discussa. Conosciuto come "Giovane con un montone", il dipinto esiste in due versioni quasi identiche, entrambe attribuite al Caravaggio (una ai Musei Capitolini e l'altra nella Galleria Doria Pamphilj). Vi è poi il San Giovannino ritratto mentre abbraccia un ariete, conservato presso la Galleria Doria Pamphilj in due versioni, una attribuita al Caravaggio stesso, l'altra ad autore ignoto. Il "Giovanni Battista" conservato a Kansas City fu commissionato nel 1604 dal banchiere genovese Ottavio Costa, a favore del quale egli aveva realizzato "Giuditta e Oloferne" e "Marta e Maria Maddalena". Il "Giovanni Battista" conservato presso la Galleria Nazionale d'Arte Antica, è una delle due versioni sopra citate Non è certa la paternità del "San Giovanni Battista alla sorgente" conservato presso una collezione privata a Malta (John Gash lo attribuisce a Caravaggio). L'opera è stata replicata in altre due versioni, leggermente differenti. Il "San Giovanni Battista disteso" conservato presso una collezione privata a Monaco di Baviera è una delle sette versioni che il pittore lombardo ha dedicato al tema di "San Giovannino", ossia Giovanni Battista ritratto da bambino o appena adolescente. Non è certo se "San Giovanni Battista che nutre l'agnello", da una collezione privata di Roma, sia firmato da Caravaggio o dallo Spadarino.




Intesa Sanpaolo: lavori di revisione conservativa rivelano tre figure del dipinto “Martirio di Sant’Orsola” di Caravaggio, capolavoro dalle collezioni della banca.
Solitamente esposto a Napoli presso le Gallerie d’Italia della Banca, fino al 6 luglio 2025 è in prestito a Roma nella grande mostra dedicata al maestro a Palazzo Barberini.
Il Martirio di sant’Orsola di Caravaggio, capolavoro delle collezioni di Intesa Sanpolo, è stato oggetto di un importante lavoro di pulitura in occasione della mostra Caravaggio 2025 che ha portato alla luce tre nuove figure scomparse nel tempo. Tre teste sono infatti emerse in quello che è considerato l’ultimo dipinto di Merisi, realizzato nel 1610 poco prima della sua morte. La revisione conservativa ha riportato colori e forme all’originaria nitidezza e brillantezza.
I lavori sono stati realizzati dalle restauratrici Laura Cibrario e Fabiola Jatta presso il laboratorio di restauro delle Gallerie d’Italia di Napoli, il museo di Intesa Sanpolo, dove il dipinto è solitamente esposto.
A destra di Attila, il re unno rifiutato da Orsola, è comparsa la punta del naso di un soldato e il perimetro del suo elmo, un volto che prima non si vedeva. Inoltre sono emersi nuovi dettagli della figura, forse un pellegrino, che indossa un cappello. Sopra la testa di Sant’Orsola si comprende oggi quello che era un elemento di funzione incerta: si tratta dell’elmo di un armigero con fessura per gli occhi.
Tre figure arricchiscono quindi la tela e il racconto del dramma di Sant’Orsola.
Con l’occasione il dipinto è stato inoltre dotato di una nuova cornice secentesca che è stata adattata al climaframe realizzato ai fini di garantire una conservazione ottimale.
“La responsabilità di avere in collezione l’ultimo dipinto di Caravaggio impone il coinvolgimento dei migliori studiosi, dei massimi esperti e delle imprese private con le maggiori competenze tecniche, nella consapevolezza di prendersi cura di un pezzo di patrimonio universale. Ogni decisione è presa insieme a Sovrintendenza e Ministero. Il restauro conservativo, la cura attenta, la nuova cornice e una migliore protezione permettono al pubblico di conoscere sempre meglio il valore delle collezioni di Intesa Sanpolo ha commentato Michele Coppola, Executive Director Arte Cultura e Beni storici di Intesa Sanpaolo, e Direttore Generale delle Gallerie d’Italia.

La storia
Il Martirio di sant'Orsola è un dipinto a olio su tela (143 × 180 cm) eseguito nel 1610 da Caravaggio e conservato presso le Galleria d’Italia-Palazzo Zevallos Stigliano, sede museale di Intesa Sanpaolo
a Napoli.
L'opera è di fatto l'ultima pittura del Merisi essendo stata realizzata poco più di un mese prima della sua morte. Commissionato dal principe Marcantonio Doria (la cui famiglia aveva per protettrice proprio Sant'Orsola), il dipinto fu eseguito dal Caravaggio con molta rapidità, probabilmente perché questi era in procinto di partire per Porto Ercole, ove avrebbe dovuto compiere le formalità per essere graziato dal bando capitale. È ben noto che durante quel viaggio il pittore trovò la morte. La fretta fu tale che la tela uscì dallo studio del pittore ancora fresca di vernice e, non essendo perfettamente asciutta alla consegna, degli incauti servi la esposero al sole, circostanza che fu all’origine della sua sofferta conservazione.
L’opera fece ritorno a Napoli nella prima metà dell’Ottocento, pervenendo per via ereditaria al ramo Doria dei principi d’Angri e successivamente, circa un secolo dopo, ai baroni Romani Avezzano d’Eboli, per essere infine acquistata, come opera di Mattia Preti, dalla Banca Commerciale Italiana nel 1972.
Dopo alterne vicende attributive, la reale paternità dell’opera e la sua fondamentale posizione storica saranno definitivamente chiarite soltanto nel 1980, grazie al ritrovamento, nell'archivio Doria D'Angri, di una lettera scritta a Napoli il 1º maggio 1610 da Lanfranco Massa, cittadino genovese e procuratore nella capitale partenopea della famiglia Doria, e diretta a Genova per Marcantonio Doria, figlio del Doge Agostino: "Pensavo di mandarle il quadro di Sant'Orzola questa settimana però per assicurarmi di mandarlo ben asciuttato, lo posi al sole, che più presto ha fatto revenir la vernice che asciugatole per darcela il Caravaggio assai grossa: voglio di nuovo esser da detto Caravaggio per pigliar suo parere come si ha da fare perché non si guasti".
Ai travagli patiti nei secoli dalla tela – guasti, ampliamenti, ridipinture, che ne avevano profondamente alterato la leggibilità e la chiarezza iconografica – ha posto finalmente rimedio l’importante restauro promosso dalla Banca e condotto tra il 2003 e il 2004 presso l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro di Roma, che ha ripristinato l’originaria coerenza dell’immagine, ora più fedele e prossima alle intenzioni dell’autore.
Tra le principali novità apportate da questo complesso intervento nella lettura del dipinto occorre segnalare il recupero del braccio e della mano tesa di un personaggio che tenta invano – con forte accentuazione nella carica drammatica della scena – di arrestare la freccia scoccata dal carnefice; inoltre la presenza, nel fondo, di un tendaggio, che suggerisce un’ambientazione nell’accampamento del re unno; infine le sagome di un paio di teste dietro il piano della santa.

Descrizione dell'opera
Come sua consuetudine, il Caravaggio si discosta dall'iconografia tradizionale di Sant'Orsola, generalmente ritratta coi soli simboli del martirio e in compagnia di una o più vergini sue compagne; sceglie invece di raffigurare il momento stesso in cui la santa, avendo rifiutato di concedersi al tiranno Attila, viene da lui trafitta con una freccia, caricando la scena di un tono squisitamente drammatico. Il dipinto è ambientato nella tenda di Attila, appena discernibile grazie al drappeggio sullo sfondo, che funge quasi da quinta teatrale. L'intero ambiente, come consuetudine nei dipinti caravaggeschi, è permeato da un complesso gioco di luci e ombre, che tuttavia in quest'ultimo dipinto dell'artista sembra dar vantaggio più alle seconde che le prime: è uno specchio del travagliato periodo che l'autore stava vivendo nella parte finale della sua vita.
Il primo personaggio a sinistra è lo stesso Attila, raffigurato con abiti secenteschi; il barbaro ha appena scagliato la freccia e sembra essersi già pentito del suo gesto: sembra quasi allentare la presa sull'arco e il suo volto è contratto in una smorfia di dolore, quasi a dire "che cosa ho fatto?".
A poca distanza da lui c'è Sant'Orsola, trafitta dalla freccia appena visibile sul suo seno: ella sta piegando la testa in quella direzione e con le mani sta spingendo indietro il petto come per meglio vedere lo strumento del suo martirio. Non sembra provare dolore, piuttosto una disinteressata rassegnazione, ma il suo volto e le mani bianchissime rispetto a quelli degli altri personaggi preludono alla sua immediata morte. Infatti tre barbari, anch'essi in abiti moderni (uno indossa addirittura un'armatura di ferro), stanno accorrendo a sorreggere Sant'Orsola, ed essi stessi sembrano increduli di fronte al gesto repentino e impulsivo del loro capo.
Nelle fattezze di quello di loro che si trova alle immediate spalle della santa, Caravaggio ha raffigurato se stesso con la bocca dischiusa e l'espressione dolorante: egli sembra ricevere la trafittura insieme a lei.
(fonte: comunicato stampa)




Palazzo Barberini
Via delle Quattro Fontane, 13
00184 Roma




Intesa Sanpaolo
Sede sociale: Piazza San carlo, 156
10121 Torino
Tel: +39 011 555 1


Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei “social plugin”. Se vuoi saperne di più sull’utilizzo dei cookie nel sito e leggere come disabilitarne l’uso, leggi la nostra informativa estesa sull’uso dei cookie .

Accetto i cookie da questo sito.